venerdì 22 gennaio 2016

La verità è nei silenzi

“Il libro risponde al libro”, un gioco di specchi. E tuttavia non si può non scrivere. Lo scrittore è come l’Ebreo – “talmudista, cabbalista”: “Tutt’e due hanno la stessa sete d’imparare, di sapere, di decrittare il loro destino inciso in ogni lettera in cui Dio si è ritirato”. Classificato come “enigmatico”, il filosofo franco-egiziano (di Alessandria) procede sempre tra poesia e aforisma: il suo “pensiero” non ha bisogno di essere precisato, vuole anzi essere libero. Si “incolla” non si anatomizza: 
“La precisione
È cancellazione.
Lui è così preciso.
Lui scompare.
Niente celare
È dissimulare un po’ di più
- e più di un po’”.
Una realtà che il poeta conosce, esperto delle pause:
“Il silenzio non è all’inizio né alla fine; è tra.
Soggiogata,
la parola diserta la parola.
Si applica a non essere.”
Un’opera diversa, non ostica. Repertoriato come poeta, mistico, rabbino (causidico), metafisico, teologo, Jabès si voleva scrittore e nulla più - né meno: “Ho sognato un’opera che non entrerebbe in nessuna categoria, che non apparterrebbe a nessun genere, ma che li conterrebbe tutti”, scrive in altra luogo:”Un’opera che si avrebbero problemi a definire, ma che si definirebbe proprio per questa mancanza di definizione”. Ma con un fondo. Con vari fondi. Per esempio da corrispondente antinichilista del nichilismo del secondo Novecento, di Celan, Pasolini, Derrida, Caillois, Lévinas, Carl Schmitt, et al.: “ Fin dove andrà la nostra disgrazia? Il niente è forgiato dalle nostre mani”.
Una consolazione da filosofo antico. Una scrittura breve, non pretenziosa. Diaristica – ma organizzata, tematicamente, cronologicamente – e in un certo senso sistematica. Del dubbio in itinere: niente da dimostrare, o da provare, molta attenzione invece all’evidenza che man mano insorge. E tuttavia durevole: i due primi “Libri dei margini” (saranno tre) che l’edizione italiana nel 1986 antologizzava, si leggono intatti. “Allora, domandare. La domanda è essere senza appartenenza, il tempo della sua formulazione; è essere senza appartenenza nell’appartenenza, senza legame nel legame”.
Edmond Jabès, Libro dei margini

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