Ariosto - L’“Orlando” è “Star Wars”, quasi alla
lettera, eccetto i nomi. Meccanismi (marchingegni, voli interplanetari,
animalismo), personaggi fuori misura, follie, fantasie, imprese e sconfitte,
tutto Ariosto ha anticipato. Anche le eroine donne, quali ora la serie si avvia
a promuovere.
Comico – “Il riso è satanico,
e dunque profondamente umano”: è il nocciolo del lungo saggio di Baudelaire critico d’arte sulla caricatura, “De
l’essence du rire, et généralement du Comique dans les Arts Plastiques”, 1855
(rifatto nel 1857). Satanico in quanto
promana dall’“idea della propria superiorità”. Umano in quanto è “insieme segno
di una grandezza infinita e di una miseria infinita”, rispetto agli animali e
rispetto all’Assoluto.
Baudelaire assegnava il riso al Novecento, alla letteratura del
ventesimo secolo. Dove però non se ne trova quasi traccia. Eccetto che in Kafka naturalmente, e in Brecht, a denti stretti. E in Céline, ma allora dichiaratmente satanico. Solo in
Italia è profuso, in moltissimi autori e in forme elaborate: Pirandello, Svevo, Gadda,
Calvino, Palazzeschi, Primo Levi, Arbasino, Savinio, Parise, Flaiano, Brancati,
Soldati, Delfini, Campanile, Zavattini, Bontempelli, Marinetti, Malerba,
Sciascia, Cavazzoni. Anche Landolfi, Manganelli, Celati. Lo stesso Fenoglio. Montale pure, in molte prose, e
anche poesie, Noventa. E Dario Fo, Eduardo De Filippo. Per un bisogno di rottura, di uscita da un conformismo spento?
Il comico (satirico, giocoso, osceno) ha un
Italia una tradizione, ben solida, fin dagli inizi, da Cielo d’Alcamo. Con
innumerevole seguito: Angiolieri, Boccaccio, Bandello, e innumerevoli altri
novellieri, Berni, Aretino, Grazzini, Folengo, Basile, Belli, Porta, Dossi,
perfino Manzoni. E l’opera, buffa e seria. Non casi isolati, una “Madre Coraggio”
o una “Nave dei folli”, o un genio sparso, ma proprio una tradizione, con
continuità.
Dante – Fu condannato a
morte tre volte.
Estrovertito, anche molto, nella vita e nell’opera, nella “Commedia”
sarebbe ombroso e anzi misterioso. Contini lo vedeva ammirandolo così, per
l’assenza-presenza di Cavalcanti nel poema, ma non solo: uno “i cui silenzî, le
cui reticenze, le cui oscurità e ambiguità sono ferree quanto tutto il resto”.
Per eccesso o per difetto? Per voler dire la verità di troppo, o per voler
celare una o due cose magari essenziali?
La verità è che è troppo chiaro su troppe cose. Il giallo Dante non funziona, le sue tante
reincarnazioni misteriose non fanno presa.
È il creatore dell’Italia per più di un aspetto. Per la lingua
certamente, imposta d’impeto – san Francesco poeta prima, ma con una lingua
stenta, nodosa. E della società civile, al tempo in cui i Comuni cedevano alle
signorie: del bene e del male, della politica a portata di mano e quasi
democratica, dell’indignazione tanto contemporanea – come della misericordia
del papa argentino (“Purgatorio”). Della lingua non si può calcolare l’importanza,
poiché l’italiano ha modellato nella forma, nelle metriche, anche nelle parole
– i suoi neologismi saranno un migliaio. “La inventò a tavolino”, si può dire
con Enrico Malato. Ben in anticipo e in diverso modo che le altre lingue
“nazionali” in Europa: in Francia, Inghilterra, Spagna la lingua s’impone
attraverso le armi, è la lingua della fazione vincitrice, e matura due-tre
secolo doo l’italiano.
È attuale ma all’opposizione. È per questo che i 750 anni della nascita,
una ricorrenza pure molto importante, si chiude senza alcun contributo.
Nemmeno, anzi, una celebrazione.
Fascismo – Si vuole monumentale
nelle ricostruzioni postbelliche, specie a sinistra, come avrebbe voluto essere
e si pretendeva. Pasolini da ultimo, che l’ha fatto scultoreo, e Bernardo
Bertolucci, con donne apache in stivali
maschili, mentre era popolato di falsi invalidi.
Giallo – In nessuna forma
è domanda di giustizia: è lo spettacolo del delitto, che così si remotizza, si
dissolve. Non nella forma classica inglese, da W.Collins a Conan Doyle e Agatha
Crhste, dell’enigma da chiarire – lo schema ripreso da Vazquez Montalbàn e Camilleri:
tra i buoni e i cattivi e i così-così, ma senza macabro né horror. Non nel noir americano, che ora domina in
Italia, di Ammanniti o Carrisi – che giustamente sintetizza così la questione:
“La giustizia non fa ascolti. La giustizia non interessa a nessuno. La gente
vuole un mostro, e io glielo do”. Non nelle forme più “umane” e “sociali”, di
personaggi e ambientazioni dal vero, Simenon, Graham Greene, Margaret Millar.
Giuda – Ritorna con Amos
Oz e Zagrebelsky quale nuovo paradigma del bene, più umano. E come quello che
tradisce a fin di bene. Già quello di Caillois, in “Ponzio Pilato”, il racconto
del 1962, si dichiara “strumento della divina Provvidenza, per realizzare il
disegno del Padre. Col mio misfatto, tutto sarà compiuto”. A Ponzio Pilato
assicura: “Sono come te, Procuratore, ministro del Divino Sacrificio… Non sono
una spia, non sono un traditore. Sono, come te, l’esecutore della Volontà
divina”. E anche: “I nostri due nomi, associati per l’eternità, il Vile e il
Traditore”, sono “in realtà il Coraggioso e il Leale per eccellenza”. È il
Giuda dei vangeli gnostici. Già ripreso da Borges, “Tre versioni di Giuda”,
1944, ora in “Finzioni”.
Guerra – Se ne scrive
molto, in poesia e in prosa, ma dopo. L’unica opera coeva alla guerra, le
“Considerazioni di un impolitico” di Thomas Mann, sono un obbrobrio, di odio e
pregiudizio, una forma della propaganda di guerra. Durante la guerra, invece,
si scrivono leggiadrie, di ogni genere, fantastiche, storiche, romantiche. È il
caso di Borges e altri sudamericani. Ma anche di scrittori di nazioni in guerra,
soprattutto francesi, nella Francia occupata: Sartre, Colette, Montherlant, Aragon,
Mauriac, Céline – non Gide, né nella prima né nella seconda guerra. Steinbeck,
Faulkner, non Hemingway. Brecht e non Thomas Mann. Un censimento della produzione
letteraria degli anni di guerra, 1914-1918, 1939-1945, darebbe sicuramente sorprese.
Identità nazionali – C’è
chi si forma su Dante e Petrarca – anche su Boccaccio, E chi su Faust e Guglielmo
Tell. Le letture fanno molto in tal senso – è un tema vecchio ma trascurato
dalle moderne ricostruzioni dei “caratteri originari” o delle identità. Letture
che sono peraltro determinate dallo Stato, dai programmi scolastici. C’è chi
ride e riflette insieme, con Shakespeare. E chi si disincanta presto, con Don
Chisciotte. Per non dire dei russi, tra Gogol’ e Tolstòj, con un tocco di
Dostoevskij. E la Francia tra Racine e Molière, il sublime e il critico.
Lorem ipsum – Il testo “segnaposto” che si usa in grafica e in tipografia, per
esempio per riempire i numeri zero dei giornali, per provane la fungibilità
grafica, è in lingua latina montata a caso, con effetto maccheronico, da un
testo di Cicerone, “De finibus bonorum et malorum”, 45 a.C., §§ 32-33, con
inserti ironici. È utilizzato perché offre una distribuzione delle lettere
uniforme, a identici intervalli. Risale all’anno 1500, quando un tipografo
ignoto lo compose per far risaltare la bontà dei caratteri che aveva fusi.
Partito politico –“Ogni creatore di partito si
trova necessariamente in cattiva compagnia”, è pensiero di Baudelaire prima di
Grillo, che non riusciva a impegnarsi in politica (in un progetto d’articolo
intitolato “Poiché c’è il realismo…”, 1855). La convinzione Baudelaire dirà, in
“Il mio cuore messo a nudo”, 1864, criminale: “I briganti soli sono convinti –
di che? – che devono riuscire. E così, riescono”. Concedendo tuttavia: “Si possono
fondare imperi gloriosi sul crimine, e nobili religioni sull’impostura”.
Pasolini - – La sua metafora del Palazzo è di
Guicciardini. Nei “Ricordi”: “E spesso tra ‘l palazzo e la piazza è una nebbia
sì folta o uno muro sì grosso che, non vi penetrando l’occhio degli uomini,
tanto sa el popolo di quello che fa chi go-verna o della ragione perché lo fa,
quanto delle cose che fanno in India”. Non vi stupite, scrive Guicciardini, se
si sa poco di epoche o posti remoti, giacché “non s’ha vera notizia” delle
presenti nella nostra città. Anche questo potrebbe essere detto oggi.
Il “palazzo” il Castiglione pone a Urbino.
Ma Palazzeschi l’ha scovato a Venezia, quando il Doge cessò d’affacciarsi al
balcone, creando“un caso di originalità sbalorditiva” e “un risultato
scientifico di prim’ordine”, il vuoto realizzando una corrispondenza senza
precedenti tra il governante e i sudditi.
“Uomo
del Guicciardini” dice De Sanctis quello che non ha fede.
letterautore@antiit.eu
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