lunedì 11 gennaio 2016

Letture - 242

letterautore

Bibbia – È maschilista, si sa, si dice – ma lo è. Eppure, da un certo punto in poi contano le donne, Anna, Elisabetta, Maria non sono novità né eccezioni.

Editoria – Non ha più una funzione? Scaduta la garanzia di qualità del libro - nel senso della scrittura, della poesia, dell’argomentazione – o di genere (la specializzazione), è un’attività economica come tutte le altre, che si occupa di produrre e vendere un bene. Anche di qualità ma per caso, e purché a profitto. Ma allora, così limitata, non ha più una funzione nel quadro della generale promozione-adozione-scadimento della funzione imprenditoriale. Del “tutti imprenditori”, intenti a valorizzare il proprio “capitale umano”. Si caratterizzerà per una migliore confezione, promozione, pubblicità,diffusione commerciale, ma non per la qualità intrinseca del prodotto – scrittura, creatività, durata, profondità. È una forma di giornalismo, un po’ più lunga, e un po’ più compatta. Lo “scrittore”, lo scrittore artista,  può non averci paradossalmente alcun interesse, anche se scrive per comunicare, per pubblicare. Perché la sua “opera” verrà valutata e proposta al basso - per attualità, cioè, tempismo, complicità, serialità. Per essere venduta “tutta subito” – è opera di grande successo quella che dura due mesi. O altrimenti rifiutata.
Da qui anche l’autoedizione, come testimonianza a futura memoria. Dall’esito economico in perdita – anni di lavoro contro entrate incerte, minime, inutili. Ma probabilmente non peggiore di quello che l’editore garantisce. Dopo altre, estenuanti, fatiche. 

Mani Pulite – La ricostruzione Sky della vicenda, che La 7 riprogramma, impone quasi obbligata, di evidenza cristallina, la ragione perché Mani Pulite è stata, contrariamente ai presupposti, improduttiva, e anzi ha moltiplicato il malaffare, dirottandolo verso ambienti e personaggi più “impuniti”. Perché era agita dalla vecchia classe dirigente: era una vendetta interna alla Prima Repubblica, di andreottiani  e missini, e di ex Pci con le penne bagnate. Nulla di rivoluzionario, solo “come fregare gli altri”, i nemici politici.
Come non pensarci prima? Perché l’evidenza, a ripensarci, non è degli attori della vicenda, ma di come essi la “agiscono”, la presentano. E di come viene presentata. In effetti, da allora il giornalismo è molto decaduto, lasciato alle cronache giudiziarie, che sono la parodia del giornalismo investigativo, come bacato da un morbo interno, una tenia.

Monologo interiore – Joyce ne ha attribuito la paternità a Édouard Dujardin, a un racconto lungo (una notte) dello scrittore simbolista-wagneriano, “Lauri senza fronde”, 1888 – con questo titolo ripreso da Italo Calvino nella sua collana Centopagine. Ma il “monologue intérieur”, o “stream of consciousness” sono dizioni più tarde, opera rispettivamente di Paul Bourget e William James. Nicoletta Neri del resto lo precisava, curatrice di Dujardin per Calvino, che distribuisce i meriti dell’invenzione a Bourget e a James, e a Dujardin l’acquisto fortuito del racconto da parte di Joyce in partenza nel 1903 per Tours all’edicola della stazione a Parigi – Joyce ne conosceva il nome dal connazionale e amico George Moore, che lo aveva frequentato nel suo periodo parigino, quando voleva diventare pittore. Vent’anni più tardi, parlando dell’“Ulisse” con Valèry Larbaud, Joyce mise avanti il suo debito con Dujardin, e più volte successivamente lo ribadì  - convincendo infine Stuart Gilbert a tradurlo in inglese, col suo aiuto.
Dujardin, a sua volta, riconoscente, dedicherà la riedizione del racconto a Joyce, al posto di Racine, il primo dedicatario. E nel 1931, recependo la primazia, Dujardin scriverà un saggio dal titolo “Le monologue intérieur”. In cui pone questa tecnica al servizio del soggettivismo, caro all’estetica simbolista cui aderiva - il mondo è i nostri abiti mentali: “Sopprimere l’intervento dell’autore e permettere al personaggio di esprimersi direttamente”.  O, come meglio scriveva Nicoletta Neri: “L’universo non è più lo sfondo di un susseguirsi di scene, ma il mobile e ondeggiante complesso di sensazioni percepite  da un personaggio, come sarà, con suprema ricchezza, in Proust”. Mallarmé patrocinò subito il racconto: “Una di quelle trovate verso le quali ci sforziamo tutti  in senso diverso”.
I precedenti del flusso di coscienza, notava Nicoletta Neri, sono vari, e anche remoti: si parte da Montaigne, e si citano Richardson, Rousseau, Dostoevskij, Robert Browning. E ancora: “Il romanzo epistolare, il monologo lirico o drammatico, il diario, la confessione e la narrazione di carattere introspettivo”. E perché no il discorso diretto, di ognuno che dice la sua? E naturalmente tutto il freudismo? È il modo di essere, rileva ancora la curatrice di Dujardin – una sorta di anti-Freud, ma senza dirlo - di “eventi senza importanza” e personaggi “senza speciale interesse”: le “libere associazioni interiori”, le divagatorie e le fantastiche, “le più adatte per cogliere le sfumature dello spirito”, si danno meglio in quelle condizioni. Ma poi, aggiunge perfida, “l’insistenza sull’insignificante e la preoccupazione di dire tutto era una caratteristica del romanzo naturalista”. Un’eredità che la scuola simbolista, “cui Dujardin apparteneva”, aveva fatto propria, “che cerca nella realtà un significato che la trascende”.

Il “cranio scoperchiato” di Joyce, lo definì Svevo alla pubblicazione dell’“Ulisse”.
Non racconta, non svolge il racconto: è un surplace, svolge un’atmosfera, in forma di stato d’ansia, anche in Thomas Bernhard.

Novecento – Un secolo che ha creduto alla morte dell’arte, anzi la voleva morta a tutti i costi.

Parricidio – Water Pedullà, “Le armi del comico”, lo dice “lungamente praticato nel Novecento”. Ed è vero,  una lista di parricidi ai può compilare impressionante: Pirandello, Svevo, Gadda, Tozzi, Alvaro, Pasolini,  Kafka naturalmente, Céline

Pasolini – Fu felice solo nelle tragedie e nella trilogia, o con Totò. Per quale colpa?
Disse Federico Zeri che si preparava la morte, come Caravaggio. Che entrambi la morte si sono sceneggiata, diretta e personalmente interpretata. Era forse inevitabile, già Garboli lusinghiero lo voleva immedesimato nel Caravaggio, per il comune discepolato di Longhi, mentre lui s’è giustamente rifatto sempre a Giotto e Masaccio, e a qualche manierista freddo, Pontormo. Ma è vero voleva “morire da martire, rinascere da eroe”, testimoniò il suo amico Zigaina, il pittore del Tagliamento. All’idroscalo di Ostia, che in latino è “vittima sacrificale”, dove aveva girato le scene erotiche delle “Mille e una notte”. La colpa inconfessabile sarà stata questa, la voglia sacrificale. Del martirio che è uno stato di beatitudine, e s’intende fecondo, padre e madre. Già nel “Decamerone” s’era esibito come Mishima, con la benda alta sulla fronte.

Il partito Comunista aprì morendo alla poesia, dopo averlo assolto dalla storia, guardia rossa solitaria, da Porzûs al Sessantotto, Praga inclusa, fedele sempre a chi gli aveva assassinato il fratello e gli negava la tessera. In quel “nulla ideologico mafioso” ambiguamente preciso che è la sua Italia. 

Refuso – Si moltiplica con la scomparsa del correttore di bozze – di bizze? Savinio considerava i refusi – diceva di considerarli, in realtà lo contrariavano - “luminosi messaggi dall’aldilà”. E anche strumenti di verità - la secentesca Verità: “La verità nasce dall’inganno”.

Roma – È le sue statue: una statuaria imponente per numero e dimensioni, con molti esemplari di qualità. È l’intuizione di Hermann Melville di passaggio per la città, che fisserà in una conferenza itinerante negli Usa: La “grande moltitudine di statue che, pur tra le fluttuazioni dei censimenti umani, rimane la vera e immortale popolazione di Roma”. Sono l’immagine di Roma che più si incide nella memoria del visitatore.

Self-publishing – Penguin cede l’attività di self-publishing, o vanity press, “Author Solutions”, a una finanziaria americana. Ha deciso di vendere, ancora non sa che prezzo spunterà. Si sa però a quanto aveva comprato Author Solutions nel 2012: 116 milioni di dollari. Più del fatturato di una “grande” casa editrice italiana.

Viaggio – Necessità gioventù, fantasia e buon carattere per H. Melville, che se ne può dire un esperto. Nella nota “Sui viaggi” (ora in “Viaggi e balene”), è perentorio: “Se non si hanno le qualità di cui sopra, e il carattere è magari un po’ acido, si può anche stabilirsi in Paradiso e non se ne trarrebbe piacere” – “l’allegria è fatta per gli animi gioiosi”, e il viaggio è allegria.
È quello che non si trova nei libri di viaggio italiani. Approssimati. E di nessuna o poca curiosità. Ricordi cristallizzati sulle enciclopedie, Hoepli o Treccani. Con poco o nulla di cose viste. Anche nei migliori, Arbasino, Pasolini, Parise, Maraini, gli innumerevoli che scrissero della Cina quand era d’obbligo (dacché la Cina è diventata interessante e interessantissima non se ne è scritto più nulla), lo stesso Moravia. Terzani si distingue in alcuni racconti giornalistici, ma forse scriveva in tedesco – o se li raccontava in tedesco con la moglie.

letterautore@antiit.eu

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