martedì 19 gennaio 2016

Mani Pulite fu sporca

La Procura di Mani Pulite come “The hateful Eight”. Il titolo richiama Victor Hugo, il romanzo dallo stesso titolo della Francia tra Terrore e Vandea. Lo svolgimento richiama invece irresistibile  l’annunciato film degli odiosi otto di Quentin Tarantino: cacciatori di taglie senza scrupoli, anche l’uno contro l’altro. Sono trecento pagine di illegalità e violenze in serie nel nome della Legge. Quasi una parusia, benché a ripensarci note. Forse perché ben narrate, si leggono trattenendo il fiato, tra l’incredulità e lo stupore. Mattia Feltri ha avuto la costanza di censirle, un anno e mezzo quasi di lavoro, per il “Foglio” nel 1993, e ha evidentemente stoffa di narratore, poiché le articola senza una pausa di noia.
È l’affabulazione in eccesso rispetto al fatto, un traviamento del fatto stesso? No, Mani Pulite fu un troiaio, e anzi un golpe, nel senso giuridico della parola, non c’è rappresentazione che possa essere in eccesso rispetto ai fatti. Una serie di illegalità già denunciate senza effetto, protette dal compromesso storico, da ciò che ne restava, dal Csm, che poi sono i giudici stesi, dalla Consulta, e dal Quirinale, da Scalfaro soprattutto, un presidente forse inetto forse complice. Del resto la rappresentazione di Feltri ai articola su fatti noti, comunque non ignorati. E anzi con qualche assenza: Passera-Di Pietro, De Benedetti stesso in prima persona (Passera era allora un suo manager), Prodi. E Andreotti? L’unico politico non toccato, il più onesto di tutti i Dc, lui e i suoi – a eccezione di uno o due affiliati locali.
Una ricostruzione non unidimensionale, peraltro, non pro e non contro. Ma non ambigua: la violenza della Legge vi è manifesta. Nello stesso censimento delle malefatte.  Del “non poteva non sapere”. Del proporsi a governo – si è dimenticato, ma è avvenuto: Borrelli propose se stesso e i suoi come governo “legittimo”. La carcerazione libera. Borrelli la rivendicò: “Noi incarceriamo la gente per farla parlare” - oggi nega ma lo disse, il 3 giugno 1993 a Saint-Vincent, a un convengo giudici-media, ed è la sostanza della cosa. “Si vede che c’è ancora qualcuno che per la vergogna si uccide”, questo è D’Ambrosio, il giudice che lasciò impunita la fine di Pinelli alla Questura di Milano. Del suicidio cioè come confessione di colpa, che non si legge nemmeno negli annali della Inquisizione, come i borrellismi – ma D’Ambrosio è uno della giustizia napoletana a Milano… Gli abusi dei concetti di legittimità, legalità, giustizia. La gogna. Il linciaggio. L’elenco sarebbe lungo. E i fatti principali, in una dimensione storica, sono ancora da accertare..
Il più resta da fare, Feltri ha soprattutto il merito di togliere il coperchio. La dimensione culturale e politica del golpe, con l’abbattimento di ogni dimensione e funzione della cultura laica e riformista. La stessa storia di chi, come e perché. Una tessitura politica a ogni apparenza belzebbubiana, sull’asse Di Pietro-Borrelli-Andreotti, in linea gerarchica e in successione cronologica – primo fu indubbiamente Di Pietro, della cui straordinaria carriera non si sa tutto. Con l’attenzione divertita e l’appoggio del dipartimento di Stato e dell’ambasciata Usa – di questo si può dare testimonianza – fin dall’inizio puntati sulla mira anti-Craxi di Di Pietro. La “pubblicità”, anche, che Feltri non indaga se non in filigrana, ed è stata la determinante del golpe: la connivenza dei media. Del suo successo, e per molti indizi della sua nascita. Del “facciamo parte dello stesso gruppo” di Passera a Di Pietro, e degli interessi emergenti, specie di destra: Berlusconi, Fini, Bossi, lo stesso Passera. Con la copertura degli ex Pci in funzione di “boia  volenterosi” – roba insomma da “willing executioners” se non da “hateful eight”. Del golpismo, tra Quirinale, alcune Procure, Milano in primo luogo, e alcune armi, gruppi non marginali della Finanza.
I giudici di Mani Pulite e i loro sicofanti nell’editoria si facevano bandiera della lotta alla corruzione, ma questo era succedanea al potere e ai privilegi di alcun gruppi dell’apparato repressivo. Che “democratizzarono” la corruzione: la resero diffusa e impunita, e quasi un diritto materiale, senza più il filtro politico.
Mattia Feltri, Novantatré. L’anno del Terrore di Mani Pulite, Marsilio, pp. 316 € 17.50

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