La guerra senza fine di Israele ha ora un altro disegno: logorare la resistenza
palestinese, che via via riduce a terrorismo. La popolazione destinando alla dispersione.
I palestinesi sono isolati più che mai nel mondo arabo-islamico, esso
stesso in guerra su più fronti al suo interno. E sono militarmente indietro a mezzo
secolo fa, quando i primi nuclei di resistenza armata si formavano attorno all’Organizzazione
per la liberazione della Palestina, con azioni terroristiche, isolate e dimostrative.
Più deboli anche demograficamente e socialmente: ne nascono di meno, e l’emergenza
profughi nei campi si è attenuata, con l’emigrazione più o meno stabile nei
paesi arabi e fuori. Le comunità stabilizzate sono divise tra l’agglomerato informe
di Gaza e una Cisgiordania puntiglista, sminuzzata tra colonie ebraiche. La
presenza a Gerusalemme va rapidamente evaporando.
Anche le soluzioni di oggi sono quelle di ieri, emigrazione o Giordania. Con una differenza: la Giordania, la cui popolazione (6,5 milioni) è per oltre la metà
palestinese, ha un trattato di pace con Israele da ormai vent’anni. Quindici
anni fa, uno dei primi atti del re Abdallah, appena succeduto a re Hussein, fu
la chiusura dell’ufficio “estero” di Hamas a Amman, centro di raccolta fondi e
armamenti. Su richiesta israeliana e americana, e dell’Olp concorrente.
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