All’alba
della notte del dubbio, Ponzio Pilato libera Gesù. Al suo modo: lento, fiscale.
Ma anche eroico, contro “l’odio, il fanatismo, la barbarie, particolarmente petulante
oggi”. Come e perché lo fa è il piacere di leggere il racconto, avvincente benché
farcito di fatti e detti noti e anzi proverbiali. E il cristianesimo dunque non
avrà luogo, la storia non si realizza, le Scritture non si compiono?
Nei
sonni agitati, tra veglia e sogno, passando “da una metafisica a un’altra”, il
procuratore romano si assoggetta al destino e alla religione. Ma, sveglio, di
colpo ritorna al suo Cicerone, e al ciceroniano Xenodoto – a un libro che Cicerone
non scrisse, “De finibus potentiae deorum”, i limiti del potere degli dei, su
un filosofo Xenodoto che era in realtà un filologo, organizzatore della
biblioteca di Alessandria ma reputato dai successori per la sua “ignoranza”, come
editore di Omero, Esiodo e altri. Un racconto borgesiano di Caillois, pilastro
del surrealismo a lungo residente in Argentina, intimo di Victoria Ocampo, l’amica
e protettrice di Borges. Da Xenodoto-Cicerone Ponzio Pilato si fa dire che “le
divinità, gli astri, le leggi cosmiche, lo stesso inesorabile Destino”, messi
insieme, “non potevano costringere il Giusto a un’azione che la sua coscienza
gli proibiva”.
Tradotto
subito all’uscita nel 1962 e poi scomparso, è un reportage storico avvincente delle poche ore tra la cattura e
l’esecuzione del Cristo – che non avverrà. È un racconto antiebraico, l’ultima espressione,
alla vigilia del Concilio Vaticano II che la abolirà, dell’“oremus et pro
perfidis Judaeis” del Venerdì Santo, la preghiera “anche per i perfidi ebrei”.
Un affondo contro il giudaismo levitico, dei preti e gli interdetti. Ma anche
contro il cristianesimo “giudaico”. L’intolleranza religiosa è semita, riflette
l’autore col suo personaggio. E l’intolleranza è idolatria.
Caillois
voleva il suo racconto un trattatello di teologia, “intesa in un senso molto
laico, come una branca specializzata delle matematica” – per lo spirito di
irrisione che lo tormentava. Ma ne ha fatto un’altra cosa. “Ottimista per
pigrizia, mentre conviene all’uomo politico di esserlo solo per calcolo, o
piuttosto di fingere per calcolo”, questo Ponzio Pilato è molto ragionativo, in
ogni circostanza: un intellettuale. Il quasi contemporaneo Adriano di Yourcenar
è un imperatore romano, il procuratore di Caillois è un intellettuale, anche un
po’ surrealista, quanto basta per vedere il rovescio delle cose, non è quello
della tradizione, delle “mani pulite”. Il fatto non giudica e non liquida come
marginale nella sua carriera e nella storia di Roma. I cattivi della storia,
Giuda, il Sinedrio, la folla ebbra di esecuzioni, vede come strumenti della
Provvidenza, perché si compiano le Scritture, ma la coscienza gli impedisce di
assecondarli.
Caillois
si rifà ai vangeli gnostici, dove la figura provvidenziale di Giuda ricorre, ma
critico. Il suo Ponzio Pilato reagisce male: “Semplice delirio. Dove andava
questa gente a cercare le sue grottesche sciocchezze? Che senso aveva l’idea di
un Dio che muore per la salvezza degli uomini?Anzitutto, un Dio non muore. È
contraddittorio. E poi non si preoccupa delle sorti dell’umanità. Ridicolo”.
Ma la
partita non si chiude con la liberazione del Cristo. Marduk, il saggio caldeo
“lontano precursore dell’etnografia”, la scienza alla quale lo scrittore ora si
rifà, vuole “avere l’ultima parola” con Ponzio Pilato, suo amico e estimatore.
“Non penso”, ha detto il procuratore romano, “che Socrate, né d’altronde
Lucrezio, avrebbero stimato una religione che, per stabilire i suoi titoli,
avesse avuto bisogno di un’ingiustizia e della viltà di un uomo”. Marduk ne è
colpito, ma poi obietta: “Questo prova soltanto… che né Socrate né Lucrezio, né
voi, avete un animo religioso. Al fondo di se stessi Socrate e Lucrezio non
stimavano, come dite, nessuna religione”. Che Marduk mette invece al di sopra
delle “astrazioni della filosofia”.
Roger
Caillois, Ponzio Pilato
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