domenica 3 gennaio 2016

Ponzio Pilato era un filosofo

All’alba della notte del dubbio, Ponzio Pilato libera Gesù. Al suo modo: lento, fiscale. Ma anche eroico, contro “l’odio, il fanatismo, la barbarie, particolarmente petulante oggi”. Come e perché lo fa è il piacere di leggere il racconto, avvincente benché farcito di fatti e detti noti e anzi proverbiali. E il cristianesimo dunque non avrà luogo, la storia non si realizza, le Scritture non si compiono?
Nei sonni agitati, tra veglia e sogno, passando “da una metafisica a un’altra”, il procuratore romano si assoggetta al destino e alla religione. Ma, sveglio, di colpo ritorna al suo Cicerone, e al ciceroniano Xenodoto – a un libro che Cicerone non scrisse, “De finibus potentiae deorum”, i limiti del potere degli dei, su un filosofo Xenodoto che era in realtà un filologo, organizzatore della biblioteca di Alessandria ma reputato dai successori per la sua “ignoranza”, come editore di Omero, Esiodo e altri. Un racconto borgesiano di Caillois, pilastro del surrealismo a lungo residente in Argentina, intimo di Victoria Ocampo, l’amica e protettrice di Borges. Da Xenodoto-Cicerone Ponzio Pilato si fa dire che “le divinità, gli astri, le leggi cosmiche, lo stesso inesorabile Destino”, messi insieme, “non potevano costringere il Giusto a un’azione che la sua coscienza gli proibiva”.
Tradotto subito all’uscita nel 1962 e poi scomparso, è un reportage storico avvincente delle poche ore tra la cattura e l’esecuzione del Cristo – che non avverrà. È un racconto antiebraico, l’ultima espressione, alla vigilia del Concilio Vaticano II che la abolirà, dell’“oremus et pro perfidis Judaeis” del Venerdì Santo, la preghiera “anche per i perfidi ebrei”. Un affondo contro il giudaismo levitico, dei preti e gli interdetti. Ma anche contro il cristianesimo “giudaico”. L’intolleranza religiosa è semita, riflette l’autore col suo personaggio. E l’intolleranza è idolatria.
Caillois voleva il suo racconto un trattatello di teologia, “intesa in un senso molto laico, come una branca specializzata delle matematica” – per lo spirito di irrisione che lo tormentava. Ma ne ha fatto un’altra cosa. “Ottimista per pigrizia, mentre conviene all’uomo politico di esserlo solo per calcolo, o piuttosto di fingere per calcolo”, questo Ponzio Pilato è molto ragionativo, in ogni circostanza: un intellettuale. Il quasi contemporaneo Adriano di Yourcenar è un imperatore romano, il procuratore di Caillois è un intellettuale, anche un po’ surrealista, quanto basta per vedere il rovescio delle cose, non è quello della tradizione, delle “mani pulite”. Il fatto non giudica e non liquida come marginale nella sua carriera e nella storia di Roma. I cattivi della storia, Giuda, il Sinedrio, la folla ebbra di esecuzioni, vede come strumenti della Provvidenza, perché si compiano le Scritture, ma la coscienza gli impedisce di assecondarli.
Caillois si rifà ai vangeli gnostici, dove la figura provvidenziale di Giuda ricorre, ma critico. Il suo Ponzio Pilato reagisce male: “Semplice delirio. Dove andava questa gente a cercare le sue grottesche sciocchezze? Che senso aveva l’idea di un Dio che muore per la salvezza degli uomini?Anzitutto, un Dio non muore. È contraddittorio. E poi non si preoccupa delle sorti dell’umanità. Ridicolo”.
Ma la partita non si chiude con la liberazione del Cristo. Marduk, il saggio caldeo “lontano precursore dell’etnografia”, la scienza alla quale lo scrittore ora si rifà, vuole “avere l’ultima parola” con Ponzio Pilato, suo amico e estimatore. “Non penso”, ha detto il procuratore romano, “che Socrate, né d’altronde Lucrezio, avrebbero stimato una religione che, per stabilire i suoi titoli, avesse avuto bisogno di un’ingiustizia e della viltà di un uomo”. Marduk ne è colpito, ma poi obietta: “Questo prova soltanto… che né Socrate né Lucrezio, né voi, avete un animo religioso. Al fondo di se stessi Socrate e Lucrezio non stimavano, come dite, nessuna religione”. Che Marduk mette invece al di sopra delle “astrazioni della filosofia”. 
Roger Caillois, Ponzio Pilato

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