Antropocentrismo – Si fanno ricerche di nuovi
mondi extra terrestri, o di altri mondi terrestri, con gli studi di Psicologia
Animale (e perché non Botanica?), tornando alla casella base sconsolati con l’avvertenza
che si tratta comunque di antropocentrismo. L’uomo non può fare a meno di se
stesso. Non possiamo ricercare con modelli che non abbiamo formulato.
La
ricerca di un Mondo Altro non è più fantascienza, è un sentimento. Non comune,
ma diffuso. Ma anche questa non è antropocentrismo? È follia, necrofilia, autoannientamento
per la parte nota, l’Altro e Diverso restando confinato nell’indistinto..
Corpo – “Erano gli ani 60 e i corpi femminili
avevano potere iniziatico”: l’anonimo titolista dl “Corriere della sera” sintetizza
così l’illuminazione-Bildung che colpì lo scrittore Vladimiro Bottone adolescente
vedendo Brigitte Bardot tuffarsi dalla barca in mare a Capri.nl giugno del
1963. La (successiva) liberazione dei corpi è una dematerializzazione, di spiriti
vaganti-vacanti. Il corpo non si affloscia, come il santo Bartolomeo, anzi
prospera e si esibisce, ma è inerrte.
Guerra civile – Ritorna col terrorismo
diffuso, nelle capitali europee, a opera di immigrati ma di seconda o terza
generazione. Tutto pur di non dirlaa guerra? Però, è vero che la guerra è guerra civile se non ci sono
più Stati e Nazioni, non più confini, usi, linguaggi distinti, non più
mentalità, passioni condivise e quindi in qualche misura esclusive. Come si
potrebbe supporre oggi della globalizzazione. O più precisamente dell’Europa
nella globalizzazione,. Dopo settant’anni di pace, che non ebbe mai nella sua
storia.
La guerra è allora interna, civile, seppure su
scala mondiale, perché tra umani, come voleva Hannah Arendt, “Sulla
rivoluzione”, che la seconda guerra mondiale propone di considerare “una forma
di guerra civile che abbraccia la terra intera”. Nonché, pour cause, il tardo Carl Schmitt della “Teoria del partigiano”,
che l’idea patrocinava nella riabilitazione postnazista e nel riarmo morale
contro il sovietismo.
Oppure si può dirla “civile” al modo di Platone,
e Aristotele, che la sperimentavano endemica a Atene e dintorni, e la teorizzavano
come dinamica familiare, di soggetti che si combattono ma al fine e con l’intento
di riconciliarsi e non di distruggersi. L’Orestiade per esempio – temibile “famiglia”,
gli Atridi? Giulietta e Romeo. Ma allora non per fini buoni, né per caso: come
un destino.
.
Si
procede nella concezione hobbesiana – sottostante anche alla lettura che si
rifà ora della grecità – della vita associata come guerra. Ma allora della vita
in se stessa, come insoddisfazione e critica. Un approccio poco produttivo:
vivono meglio e prosperano le collettività connesse, unitarie, tenute più spesso
dalla proiezione sterna che si chiama imperialismo – Atene imperialista, Roma,
la Spagna di Carlo V, l’Inghilterra della regina Vittoria, gli Usa.
E forse
solo è solo espediente alla vita in pace con se stessi. Della guerra come stato
d’eccezione, o vincolo esterno, uno stimolo alla difesa (continuità, riproduzione). Che infatti si
affievolisce nella “pace pacifica” (ora in Europa) e nella guerra interminabile
– la guerra deve avere uno scopo e una fine.
Nicole
Loreaux, studiosa della “guerra civile” di Platone come guerra familiare, pone
la dialettica tra oikos e polis, famiglia e politica. Meglio andrebbe
detto tra privato e pubblico, una terza deriva incrociata delle due esperienze
a loro volta conflittuali. E meglio ancora si potrebbe, nella dialettica privato-pubblico,
proporre il caso italiano, di commistione invece che di opposizione. Di cui è
l’esito la familiarizzazione della sfera politica, o privatizzazione del
pubblico – la corruzione. Con l’alto tasso di ingovernabilità e litigiosità esito
dell’indebolimento della funzione pubblica. Un caso che è l’effetto di una concatenazione
storica varia: il patrimonialismo postrisorgimentale, l’ideologizzazione tra le
due guerre, il confessionalismo postbellico, da ultimo la caduta delle illusioni
- storia ormai di trent’anni, ma coperta dal giustizialismo fasciocomunista,
invece che esaminata (suto)criticamente.
Una commistione
di privato e pubblico, il caso italiano, analoga alla dialettica schmittiana
Amico\Nemico. Con la singolare ipostatizzazione di “Bruxelles” come decisore
esterno e occulto, invadente, risolutivo.
Si
cancella la guerra lasciando inesplorato l’ombrello
atomico, la minaccia del fungo sterminatore o guerra d’annientamento. Dopo il
“deterrente” più nulla si cogita attorno alla Bomba. Mentre si moltiplica la
proliferazione, in una sorta di equilibrio dei “patrocini” – un gruppo di
potenze per Israele, un gruppo per il Pakistan, etc.
Il
concetto di unità nella globalizzazione è incauto – per molti aspetti truffaldino.
Come del resto quello ieri invadente di rivoluzione, che tradì l’acume di
Hannah Arendt, la sua guerra civile universale è molto contingente, e un
equivoco. Agamben ne fa un trait-d’union
con la sua ipotesi di guerra contemporanea come terrorismo, o del terrorismo
come l’eterna guerra civile, tesi e antitesi insieme, della storia. Ma allora –
non è vero, ammesso che sia vero – della storia “occidentale”, della linea
grecità-latinità-cristianità-Europa.
Kant – Pone i problemi morali - tra essi il famoso
“Su un preteso diritto di mentire per umanità” che subito gli venne
contestato da Constant – sul piano logico. Sono problemi irresolubili per
questo: falsi problemi. L’etica non opera per funzioni logiche – lo ha fatto,
ma nella sofistica. Woody Allen che si è posto il problema come già Constant
nel suo ultimo film, deve finirlo – il film, l’aneddoto e il personaggio – in
modo incongruo, il genere chi la fa l’aspetti, chi di spada ferisce di spada
perisce.
Machiavelli – È di Machiavelli in effetti il problema di
Kant, “Su un preteso diritto di mentire per umanità”. Come lo
svolge Woody Allen in “Irrational Man”, ma anche lo stesso Kant nella polemica
con Constant.
Perché
non si fa il precedente di Machiavelli nella discussione sul problema di Kant?
Questo non è un problema filosofico, ma di storia della filosofia sì, e di
cultura filosofica – quindi, in fondo, di filosofia?
Nazione – È in disgrazia e in dissolvenza. Come le nascite
in demografia – nazione è nascere. Nella devitalizzazione della vita, a “meccanismo”
Tra i tanti
Pace
–
È meno risolutiva (creativa) della guerra. Le grandi paci creative, di Pericle,
di Augusto, erano di carattere e ordine imperialistico, dominatrici. Lo stesso
della pax americana, che soffre
quando l’imperialismo è contestato.
Pax
irenica
è quella europea odierna: una pace pacifica, di diritto e di fatto, di rinuncia
alla guerra. Un pace implosiva – mirata all’interno da cu proviene, al buon
diritto o alla buona coscienza. Distruttrice, sia pure per erosione, e non
creatrice.
Popolo
–
È alto e basso, grasso e minuto, plebe e moltitudine, popolazione e popolo, ma
non è il fondamento della tradizione politica occidentale: demos, il suo referente nella tradizione classica, è plethos, la moltitudine. Non c’è nemmeno
nei Vangeli.
È concetto romantico - Heidegger
compreso e il nazismo: di rifiuto sostanzialmente di Hobbes e la filosofia
politica. Arginato e corretto nella dinamica marxista, così come nella
concezione (ideologia) liberale. Non c’è in Machiavelli né in Rousseau, c’è in
Hobbes con difficoltà – commonwealth
è preferito, più significativo.
zeulig@antiit.eu
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