Classicità – “Gli atti degli antichi erano nobili e tali
sono le loro arti”, è in questo collegamento la classicità – la durata - in
Melville (H. Melville, “Statue di Roma”, ora nella raccolta “Viaggi e balene”).
Perché “dagli antichi abbiamo ricevuto tutto il meglio del pensiero che
circola?” Perché loro ci credevano e vi si applicavano – alimentavano il
circolo virtuoso della creatività poiché ci credevano. Si facevano anche loro
le guerre e si distruggevano, ma per le creazioni dello spirito erano
accumulativi, se le assumevano invece di sradicarle o abbatterle.
Il collegamento
multiforme, tra azione, nobiltà e estetica sembra improvvisato. Però, così
avviene nella storia. Di quei secoli, e anche dei successivi, di quando le tre
esigenze sono andate variamente disgiunte.
Fede – Muove il mondo, si dice. Ed è vero. La
saggezza è operosa quando diventa una fede, altrettanto invadente, oltraggiosa.
Solo la fede ardente muove il mondo. Non la quieta ortodossia, o l’ermeneutica.
Ed è contagiosa, si espande. In ogni fede religiosa, comprese quelle settarie, ma non necessariamente religiosa: l’uomo di
fede non è necessariamente un credente. Caillois, “Ponzio Plato”, ha un
personaggio, il saggio caldeo Marduk, che “se non credeva agli dei, credeva
invece a ciò che fa che gli uomini instancabili immaginano degli dei”.
Giuda – È da qualche tempo il testimone fedele e
quasi un martire. Basta un ossimoro per fare un libro e sostenere una tesi?
Bastava anche meno al tempo della sofistica, e dunque un miglioramento c’è. Ma
a chi è fedele Giuda, se non per ridere? Se ne può fare un traditore per odio,
oppure per amore – magari è la stessa cosa – oppure quello gnostico, lo
strumento della Provvidenza che si sacrifica per il trionfo delle Scritture, ma
perché farne un altro, diverso?
Resta il
fascino ritornante del personaggio, seppure mascherato: la voglia
d’incanaglimento ritorna nelle epoche senza storia. Borges e Cailos.
Natura - Per i greci la natura non aveva
brutalità, è consenso comune. Ma non è una forma di assoluzione: la brutalità
era connaturata alla natura, compresa quella umana. Non era un segno
distintivo, un aggettivo, una divagazione, magari temporanea o intermittente:
era una condizione.
La brutalità era un dato di fatto e non
stigma depressivo, di crisi, ma questo è un altro tema.
Religione
–
Marduk, il veggente caldeo di Caillois, “Ponzio Pilato”, “lontano precursore
dell’etnografia”, non “considerava le religioni come superstizioni sragionevoli
e prive d’interesse”, come il suo amico Ponzio Pilato, al contrario, “non aveva
interesse che per esse, ritenendo che informavano.meglio sulla natura umana
degli altri dati, e soprattutto più delle astrazioni della filosofia”.
Sogno
–
È una forma di rivelazione – nella forma, non nei contenuti a volte triviali, come
nei sogni erotici o altri. Come voleva il surrealismo: un automatismo, ma non
necessariamente memorabile, né significativo, non in un senso rilevabile,
significante. Si svolge come una lettura, o una rappresentazione teatrale. Il
dormiente crede di assistere a una scena che lo vede insieme partecipe e
spettatore. O di leggere in un libro inesistente una storia o una vicenda che
egli stesso crea-si racconta a mano a mano. Ma non come se ne fosse l’autore.
Come se fosse invece uno a cui il libro a mano a mano si rivela. Senza suo sforzo,
né di invenzione né di adattamento. La pagina bianca si riempie a mano a mano
di segni. Il più delle volte di emozioni, eventi o possibilità della veglia, più
o meno avvertite o rifiutate. Per esorcizzarle (vanificarle) oppure per imporle,
anche violentemente – incubi.
Storia - L’uomo è la
sua storia, memoria cioè e fantasia. La
storia universale può essere invenzione della filosofastreria hegeliana, come
vuole il “Mondo” di Schopenhauer: “Questi filosofi magnificatori della storia
sono sciocchi realisti, per giunta ottimisti e eudemonisti, volgari sozii e
incarnati filistei, e cattivi cristiani”. Ma non dice il falso, assicura
Aristotele: matrona austera, non s’azzarda a profferire verbo che si possa
rigettare, confutare, accusare di falso. E Luciano, che ne fu il primo teorico:
“Suo fine è l’utilità, che si raccoglie dal vero. Se in più favorirà il
piacere, la storia si concilierà molti amatori”. Per Francesco Patrizi “due
fini sono i principali dello scrivere ogni istoria: la cognizione del vero et
l’uso per la felicità. In essa, quasi in ispecchio, o più veramente in teatro,
può l’uom vedere tutte l’umane cose”. La storia filosofica, spiega Kant, è apriori,
un filo conduttore da cui non si evince la storia propriamente detta degli eventi
empirici. Ed è scienza politica, la più politicizzata. Ma è un discorso. Sempre
critico, anche quando è accattivante. Qualcuno ci vede l’abito di Dio. È un
racconto, un’ermeneutica che sempre si rinnova.
La storia è storia di scritture. Se il
romanziere è lo storico del presente, lo storico è il romanziere del passato. È
il liutaio di Marc Bloch che procede battendo le nocche sul legno dello
strumento che sta fabbricando. Ma il romanziere non occulta le prove, le fa
anzi emergere e le decritta.
Se capissimo la storia faremmo meno
psicologia: senza ancoraggi, i precedenti, le relazioni, le prove. La storia
sarebbe in effetti come Dio, ovunque ma in nessun posto. Ma si può dissentire.
La storia, irride Aristotele, realista e
storico epigrafista, che ricostruì gli annali delle Olimpiadi, si occupa di
sapere “che cosa Alcibiade fece e cosa subì”. E intendeva: cosa subì si sa,
conoscendo il tipo, che cosa fece non lo sapeva neppure lui. Ma i fatti
restano.
“La storia è oggi, ma non si risolve
nell’epoca: si basa su di essa ma non si risolve in essa”, spiega Ranke, non
nelle intenzioni. Perché la storia, bella trovata direbbe Gadda, è il
linguaggio. “che può appassionare e incitare più che un’utopia”. O
“purificazione del linguaggio”, aggiunge l’ottimo ambasciatore Paz, “la storia
si consuma nella dissoluzione delle penombre”.
Addison non si fidava, che dice: “È
molto più sicuro citare una medaglia che un autore” – trascurando la
possibilità che la medaglia sia contraffatta. Dubita lo stesso Luciano, secondo
il traduttore Savinio: “Con tal volgo di scriventi che seguono il tempo e le
circostanze, e l’utile che si ripromettono dalle loro pagine, in avvenire ogni
fatto sarà reso sospetto”. Ma poi, direbbe Foucault, “il genealogista ha
bisogno della storia per esorcizzare la chimera delle origini, un po’ come il
buon filosofo ha bisogno del medico per esorcizzare l’ombra dell’anima” - che
non è necessario, ci si può convivere, sia con l’anima che con le chimere.
Maestra la storia può essere, di comportamento: del genere cool,
dominare gli eventi. E in questo senso della storia non si fa mai tesoro a
sufficienza.
spock@antiit.eu
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