Gor’kij
era un altro. Come si legge nei tre racconti che Paolo Galvagni ha qui recuperato,
e si vede nella foto dell’artista da giovane che li accompagna. Prima che la
politica lo assorbisse, nel realismo che poi sarà dichiarato socialista e nelle
polemiche – fino al ritorno a Mosca da Sorrento nel 1932, per esserne celebrato,
e subito poi avvelenato. Non era l’impegnato celebratore della gioventù povera,
che pure era stata la sua, orfano a tre anni, né l’agitatore arcigno e censore
sociale. Era brillante, ironico, lieve – tra i suoi due numi, Cechov e Tolstòj,
ancora sulle tracce del primo. Anche la sua Russia era un’altra, meno remota.
Maksim
Gor’kij, La signorina e lo stupido,
Via del Vento, pp. 37 € 4
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