Il film viene
riassunto in due maniere: la storia dei preti pedofili di Boston, a lungo impuniti;
una celebrazione americana del giornalismo d’inchiesta. È l’una e l’altra cosa,
ma le sintesi non sono innocue: a qualcuno, nel secondo caso, più spesso
spettatore ma anche critico, non piace la tesi politica, che la pedofilia è
cattolica, e anzi dei preti cattolici. Nella capitale peraltro del puritanesimo, che gli irlandesi hanno duramente cattolicizzato. Perché il film è politico, con doppia
chiave. Tutto il cattolicesimo, col senso acuto del sesso come peccato, è
pedofilo. Ed è ipocrita: si assolve dal peccato, e si compra il silenzio delle
vittime. La celebrazione del giornalismo d’inchiesta concorre a farne una
verità incontestabile.
È stato così
per molti anni, e non c’è contestazione possibile. A che si deve dunque il vago
disagio – oltre che al tema? È che gli altri cristiani ridono dei cattolici.
Mentre gli islamici, gli ebrei e gli atei ridono di loro, e così via. Si parla
molto di ecumenismo, ma le religioni non se la passano bene, sono solo settarie.
Con poche eccezioni - forse solo Roma, che da mezzo secolo insegue l’ecumenismo
(perché ha perso la partita? perché è più accorta?).
Ma, poi,
non è l’alta politica dell’ecumenismo all’origine del disagio, è il film in sé.
Che si monta come un evento, da premiare con numero incalcolabile di Oscar –
non per nulla è prodotto dai Weinstein,
maestri del premio. Mentre è solo un onesto lavoro sul giornalismo, meno
incalzante di altri. Che sterilizza e accantona la pedofilia di cui tratta. La
pedofilia non è una mafia, ma un dramma. Umano e sociale. Che tra l’altro si collega
all’omosessualità. Si dice di no ma è così.
La
chiesa? Ha deciso di farselo piacere, il film, col politicamente corretto papa
che si ritrova, populista di ogni causa popolare. Per domani magari farsene una
medaglia, di quest’epoca di sofferenze e di persecuzione. La chiesa di Roma perdona
i peccati, ma è quella che li ha creati, compresa la pedofilia, che prima non c’era - e tuttora, laicamente, non è pecato, quando non viene osannata: cioè
basta che il pedofilo non sia un prete, l’offesa allora scompare.
Ma,
poi, non è nemmeno un film cinico, è solo bizzarro. Montato sulla velocità,
mentre l’indagine che racconta ha preso anni. E come una caccia all’uomo, non
al delitto. A cominciare dal promotore della caccia, un neo direttore del
giornale che viene da lontano, da Miami a Boston, di cui solo si saprà in due
ore e mezza che è ebreo e che è interessato a colpire “il sistema”, come lui lo
dice, “il cardinale”. Non a proteggere i bambini, magari imponendo alla chiesa
una riforma delle sue pratiche punitive e risarcitorie, e\o stroncando il business
legale della sofferenza. Anzi l’unico onesto, che non ha nulla da
rimproverarsi, giornalisti compresi, è l’avvocato a percentuale, che tratta col
vescovado i risarcimenti in dollari.
Tom
McCarthy, Il caso Spotlight
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