Bruno Pischedda, milanese, romanziere,
contemporaneista alla Statale, autore di
uno”Scrittori polemisti” che sta per diventare uno “Scrittori apocalittici”,
sul Novecento italiano (Morante, Pasolini, etc.), svolge un’indagine sul Novecento
razzista. Esamina romanzi, saggi, anche di ebrei (Lorenzo Mondo), giornali, viaggi,
convegni, carteggi, e azioni e reazioni di monsignori senza carità cristiana. E
ne fa perno la personalità e l’opera del fiorentino romano Cecchi. Ne fa il
filo conduttore della ricerca, ma anche implicitamente il padre o ispiratore
dell’antisemitismo nella letteratura prebellica, in quanto razzista, più o meno inconscio. Non si capisce su
quali basi. Forse per far digerire l’altrimenti indigesto malloppo, o magari per un succès de scandale. Il libro è andato subito esaurito, ma la tesi è piuttosto paradossale, dopo tanto lavoro d’indagine.
Nel senso che fa scadere l’antisemitismo nel tutto antisemitismo, che è la
negazione della cosa – la quale invece c’è stata e c’è, eccome.
Il sottotitolo è “Cecchi e la letteratura novecentesca a sfondo
razziale”. Partendo forse dal saggio estremamente elogiativo che Debenedetti dedicò
allo stesso Cecchi, l’autore dei “Pesci rossi” e di “Corse al trotto”, l’anglista
a lungo principe, prima di Praz, corrispondente del “Guardian”. Il giornalista
letterario principe. Di cui però l’illustre critico rilevava, nel 1952, o 1954,
più divertito che censorio, che spendeva ancora la parola “razza”, pur conoscendone l’uso deflagrante. Una pietra
d’inciampo illustre, ma troppo poco per dire Cecchi un razzista. Le prove a
carico sono la stroncatura di Guido da Verona, scrittore ebreo, sulla “Ronda”,
da parte di Bacchelli. Il caso “Americana”, l’antologia di Vittorini ripubblicata
nel 1940 con l’introduzione di Cecchi in sostituzione di quella dello scrittore
siciliano, censurata – ma Vittorini l’ha ripubblicata nel dopoguerra
giungendovi la prefazione di Cecchi, che ringraziava per aver consentito la
ripubblicazione del 1940. E il “caso Weininger”. Di cui Cecchi non ha colpa, ma
sì Boine, che recensendo di Weininger, esempio illustre dell’odio-di-sé
ebraico, “Sesso e carattere”, dice – ma parafrasando Weininger - la donna da
rispettare come “si rispettano le razze umane inferiori: gli ebrei ed i negri”.
Non è il solo
limite dello studio. Cecchi è un poveretto: un autodidatta. Intruso a Roma, da
giornalista furbo, nella migliore cultura. Reggendosi con monsignori, uno dei
quali dichiaratamente razzista, e altre cariatidi. Un cattolico bieco. E anzi reazionario.
Che non fu fascista ma voleva esserlo, e anzi lo fecero accademico d’Italia.
Nonché relatore, per conto di Bottai, al famigerato convegno di Weimar del 1942
– un guaio: c’erano anche Giaime Pintor e Pasolini. Una belva, con i guanti di
velluto. Una ricerca che, arrivati a questi punti, scade nel giornalismo a
sensazione – il giornalismo culturale purtroppo non sa fare altro.
L’esito è
infatti che, estremizzando, la “cosa” viene assunta per scontata, e i giornali
spendono per il libro grossi titoli. Cecchi è stato un razzista sul “Corriere
della sera” (di “un razzismo polimorfo, ingegnoso a seconda delle opportunità”), su “Repubblica”,
sul “Manifesto” (Un saggio che smaschera il terrore del meticciato e l’antisemitismo
di Emilio Cecchi, dietro la sua abile dissimulazione critico-letteraria”), un
po’ su tutti i media. Eccetto che sul “Sole 24 Ore”, di cui Pischedda è collaboratore,
che l’ha dato da recensire a Piero Craveri. Il quale ne scrive oggi allibito: come, Cecchi antisemita?
In effetti, si
legge l’excursus con fastidio. Il metodo è insinuante, volendo fare di episodi
limitati di antisemitismo letterario un caso. Cecchi diventa uno che si vuole
crociano per motivi di potere. E nel
1925 firma incautamente il manifesto di Croce contro il fascismo dopo il
delitto Matteotti e la sospensione dello Statuto. Sottinteso: era fascistissimo.
Mentre non poté avere i riconoscimenti di cui aveva bisogno perché non iscritto
al fascio – fu infine accademico perché lo volle Pirandello. E di Lorenzo Mondo le successive generazioni, eccetto
l’ultimissima, hanno avuto modo di apprezzare la dirittura intellettuale. Tanto
rumore per nulla? L’antisemitismo è materia delicata, per risolverlo a
randellate. .
Bruno Pischedda,
L’idioma molesto, Aragno, pp. 314 €
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