domenica 14 febbraio 2016

Che successo, Cecchi antisemita

Bruno Pischedda, milanese, romanziere, contemporaneista alla Statale,  autore di uno”Scrittori polemisti” che sta per diventare uno “Scrittori apocalittici”, sul Novecento italiano (Morante, Pasolini, etc.), svolge un’indagine sul Novecento razzista. Esamina romanzi, saggi, anche di ebrei (Lorenzo Mondo), giornali, viaggi, convegni, carteggi, e azioni e reazioni di monsignori senza carità cristiana. E ne fa perno la personalità e l’opera del fiorentino romano Cecchi. Ne fa il filo conduttore della ricerca, ma anche implicitamente il padre o ispiratore dell’antisemitismo nella letteratura prebellica, in quanto razzista, più o meno inconscio. Non si capisce su quali basi. Forse per far digerire l’altrimenti indigesto  malloppo, o magari per un succès de scandale. Il libro è andato subito esaurito, ma la tesi è piuttosto paradossale, dopo tanto lavoro d’indagine. Nel senso che fa scadere l’antisemitismo nel tutto antisemitismo, che è la negazione della cosa – la quale invece c’è stata e c’è, eccome.
Il sottotitolo è “Cecchi e la letteratura novecentesca a sfondo razziale”. Partendo forse dal saggio estremamente elogiativo che Debenedetti dedicò allo stesso Cecchi, l’autore dei “Pesci rossi” e di “Corse al trotto”, l’anglista a lungo principe, prima di Praz, corrispondente del “Guardian”. Il giornalista letterario principe. Di cui però l’illustre critico rilevava, nel 1952, o 1954, più divertito che censorio, che spendeva ancora la parola “razza”,  pur conoscendone l’uso deflagrante. Una pietra d’inciampo illustre, ma troppo poco per dire Cecchi un razzista. Le prove a carico sono la stroncatura di Guido da Verona, scrittore ebreo, sulla “Ronda”, da parte di Bacchelli. Il caso “Americana”, l’antologia di Vittorini ripubblicata nel 1940 con l’introduzione di Cecchi in sostituzione di quella dello scrittore siciliano, censurata – ma Vittorini l’ha ripubblicata nel dopoguerra giungendovi la prefazione di Cecchi, che ringraziava per aver consentito la ripubblicazione del 1940. E il “caso Weininger”. Di cui Cecchi non ha colpa, ma sì Boine, che recensendo di Weininger, esempio illustre dell’odio-di-sé ebraico, “Sesso e carattere”, dice – ma parafrasando Weininger - la donna da rispettare come “si rispettano le razze umane inferiori: gli ebrei ed i negri”.
Non è il solo limite dello studio. Cecchi è un poveretto: un autodidatta. Intruso a Roma, da giornalista furbo, nella migliore cultura. Reggendosi con monsignori, uno dei quali dichiaratamente razzista, e altre cariatidi. Un cattolico bieco. E anzi reazionario. Che non fu fascista ma voleva esserlo, e anzi lo fecero accademico d’Italia. Nonché relatore, per conto di Bottai, al famigerato convegno di Weimar del 1942 – un guaio: c’erano anche Giaime Pintor e Pasolini. Una belva, con i guanti di velluto. Una ricerca che, arrivati a questi punti, scade nel giornalismo a sensazione – il giornalismo culturale purtroppo non sa fare altro.
L’esito è infatti che, estremizzando, la “cosa” viene assunta per scontata, e i giornali spendono per il libro grossi titoli. Cecchi è stato un razzista sul “Corriere della sera” (di “un razzismo polimorfo, ingegnoso a  seconda delle opportunità”), su “Repubblica”, sul “Manifesto” (Un saggio che smaschera il terrore del meticciato e l’antisemitismo di Emilio Cecchi, dietro la sua abile dissimulazione critico-letteraria”), un po’ su tutti i media. Eccetto che sul “Sole 24 Ore”, di cui Pischedda è collaboratore, che l’ha dato da recensire a Piero Craveri. Il quale ne scrive oggi  allibito: come, Cecchi antisemita?
In effetti, si legge l’excursus con fastidio. Il metodo è insinuante, volendo fare di episodi limitati di antisemitismo letterario un caso. Cecchi diventa uno che si vuole crociano per motivi di potere. E  nel 1925 firma incautamente il manifesto di Croce contro il fascismo dopo il delitto Matteotti e la sospensione dello Statuto. Sottinteso: era fascistissimo. Mentre non poté avere i riconoscimenti di cui aveva bisogno perché non iscritto al fascio – fu infine accademico perché lo volle Pirandello. E  di Lorenzo Mondo le successive generazioni, eccetto l’ultimissima, hanno avuto modo di apprezzare la dirittura intellettuale. Tanto rumore per nulla? L’antisemitismo è materia delicata, per risolverlo a randellate. .
Bruno Pischedda, L’idioma molesto, Aragno, pp. 314 € 20

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