lunedì 8 febbraio 2016

Dietro le banche, riaffiora il debito

Sarà una settimana di forti crolli di Borsa, domani peggio di oggi, e la crisi finanziaria non si può più nasconndere. Il subitaneo rimbalzo degli spread sui titoli del debito pubblico mette peraltro in rilievo che la crisi non è solo delle banche ma, di più, del debito. Per una serie di fattori concomitanti, tutti in senso negativo. L’aumento dei tassi americani che porta a un rincaro del debito stesso. Dei titoli Usa ma più del debito in dollari: il debito estero in dollari delle nuove economie si calcola in quattromila miliardi – uno per la sola Cina. L’entrata in qualche modo in campo del debito pubblico cinese, che non si sa nemmeno quanto è, forse tre volte il pil. Il giro di vite europeo, previsto ma non scontato, a) sulle banche con il bail-in e i nuovi parametri di patrimonializzazione, e b) sul debito pubblico con il fiscal compact. Di cui si è come persa la memoria, ma che per un paese come l’Italia comporterà un taglio al debito di 60 miliardi l’anno per vent’anni.
Il fiscal compact comporta da quest’anno una riduzione progressiva in vent’anni del debito europeo in essere del 35 per cento del pil. Ma il rientro è molto più agevole di questa percentuale per alcuni paesi, e molto più pesante per altri, tra essi l’Italia.
Il pattern – dalle banche al debito – ricalca la crisi del 2007-2010. Ma non è un modello vuoto. troppi elementi lo sostanziano. I maggiori indicatori dei rischi finanziari, il Risk Appetite Barometer, il Market Regime Indicator, il Global Financial Stress Index, il Vix, Volatility Index, approssimano tutti il limite superiore della rischiosità, tra 9 e 10 in una scala da 1 a 10.

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