La lettura più vivace dell’opera più celebre di Eco sono le prefazioni
successive, e l’appendice. Le prime sono anche la lettura più “echiana”-
disinvolta e mirata allo stesso tempo, appuntita: Eco ha fatto la semiologia
dell’opera d’arte – l’opera d’arte come linguaggio dell’informazione – senza
saperlo. La scrisse nel 1961 e la pubblicò nel 1962. Senza aver mai letto
Lévi-Strauss, né Saussure, Jakobson, i formalisti russi – dei semiologi. Questi
nomi ricorrono in nota nelle edizioni correnti dell’opera ma sono sono letture successive,
suggerite da François Wahl, il direttore delle edizioni parigine du
Seuil. Quanto a Barthes, “naturalmente conoscevo già Barthes, come amico e come
autore, ma il Barthes semiologo e strutturalista” ancora non c’era – il che è
anche non vero.
Il titolo è mediato dalla
“Società aperta” di Popper, già classico all’epoca, non citato - anchesso
ignoto? La teoria dell’informazione è la cibernetica di Norbert Wiener, che
invece ha largo posto.
L’opera d’arte in funzione della teoria dell’informazione, per di più, è analizzata soprattutto in forma musicale, della musica seriale o dodecafonica, su base tonale. Che si presta alla teoria dell’informazione ma meno, se non affatto, a quelle dell’estetica – in fondo è il solito “rovesciamento” della logica teutonica, come se si volesse dare tono melodico all’urlo, e viceversa, nell’indifferenza all’una e all’altra forma espressiva. A meno che, come fa Eco, la musica non sia ridotta a suono.
L’opera d’arte in funzione della teoria dell’informazione, per di più, è analizzata soprattutto in forma musicale, della musica seriale o dodecafonica, su base tonale. Che si presta alla teoria dell’informazione ma meno, se non affatto, a quelle dell’estetica – in fondo è il solito “rovesciamento” della logica teutonica, come se si volesse dare tono melodico all’urlo, e viceversa, nell’indifferenza all’una e all’altra forma espressiva. A meno che, come fa Eco, la musica non sia ridotta a suono.
È l’“opera aperta” dell’Eco
avanguardista, una sorta di tamburo maggiore dell’innovazione. Che si ripeterà
– più consistente – in “Le forme del contenuto” dieci anni dopo. Di cui qui
volle che si includesse il saggio-messaggio “Generazione di messaggi estetici
in una lingua edenica”, un esercizio inconcludente, quasi aristofanesco, sulla
mela e il divieto: “Adamo ci ha insegnato che, per ristrutturare i codici,
bisogna anzitutto provare a riscrivere i messaggi”. Senza citare McLuhan, “Gli
strumenti del comunicare”, “Il medium è il messaggio”, nel 1971 già opere di
divulgazione. Eco o della dotta ignoranza? Sarebbe un bel tema per Eco.
Umberto Eco, Opera aperta
Nessun commento:
Posta un commento