lunedì 8 febbraio 2016

Il destino era integralista

Era vent’anni fa, quasi, che Chahine denunciava l’integralismo mussulmano, in una storia straordinaria nella sua semplicità: Averroè perseguitato nella pur tollerante Cordova, sul finire della sua vita e del secolo dodicesimo, nel nome della vera” religione, vittima dello scontro tra un califfo debole, El Mansur, e uno sceicco fanatico integralista, Riad, che vuole una lettura rigorista e settaria  del “Corano”. Una storia straordinaria nella sua semplicità, animata di canti e balli, quasi un  musical, con molte innesti nel cinema euro-amercano del Bollywood indiano.  
Un atto d’accusa anche contro “i monopolisti di Dio”. Chahine ha preso le sue precauzioni: il film si apre con un rogo in Linguadoca, di libri e dell’autore dei libri, considerato eretico. Ma, seppure con una trama dai molteplici contrappunti, e senza mai gridare, proclama che la religione non può uccidere il pensiero. “Il sapere è la patria, l’ignoranza è un paese straniero”. Temendo il rivale Riad, il califfo ordina di bruciare i libri di Averroè. Poi ci ripensa, ma i suoi inviati trovano Averroè in atto di gettare sul rogo il suo ultimo libro. Che li accoglie con un: “Il pensiero ha le ali, nessuno può arrestarne il volo”.
Un film di poesia più che di polemica. Il più bello della stagione 1997. Che però Cannes non premiò  - Chirac non lo consentì, la presidenza della Repubblica. Il festival premiò Chahine da solo, istituendo un premio straordinario per i suoi 50 anni, suoi del festival.  
Yussef Chahine, Il destino

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