“L’estate
del 1943 era bellissima e la guerra aveva reso Casarsa un luogo ancora più desiderabile”.
Pasolini, 21 anni, e Naldini, 14, trovavano compagnia in abbondanza per giochi erotici. Pasolini di preferenza con un
Bruno, “ragazzotto né bello né dolce, ma plebeo, violento e sgarbato che coronò
in modo sbrigativo e brutale il sogno così a lungo cullato da Pier Paolo”,
Naldini con un Attilio. I racconti si susseguono di ordinario dragaggio, dell’uno
e dell’altro, che non lascia mai traccia, se non dell’inappagamento, e tuttavia
disegna un mondo.
Storie
di ragazzi più che di amori. Di cacce di ragazzi. Più indispettite che
nostalgiche. Al Castro Pretorio a Roma, a Magherno, nella “vita arcaica e ancora
magica”, negli anni 1960, “che si svolgeva alle porte di Milano, nella campagna
veneta, in Nord Africa e dove capita. Ma più dei primi anni a Casarsa e
Versuta, le prime trepide avventure condivise con Pasolini. In uno scenario
bizzarro: sono gli anni della guerra, anzi quelli più brutti, 1943 e 1944, dei
bombardamenti, dell’occupazione, della resistenza o guerra civile. Ma la guerra
non c’è, se non per il bello del biondo teutonico, e per i lampioni abbuiati,
che lasciano spazio per “gli insaziabili abbracci” nel “buio più fitto”. Naldini
lo sa, che si giustifica: “Non sapevamo quasi nulla della guerra”” – ma Guido sì
(e com’era possibile, a Casarsa, sulla linea del Brennero?).
È con l’omosessualità
che Naldini vuole fare i conti, e questo spiega la messa a fuoco ristretta:
tutte le narrative che Nicola De Cilia ha qui raccolto ruotano su questo fatto.
Il testo del titolo anticipa papa Francesco, in un lungo inciso a p. 141: “La
Chiesa tiene legata la collettività a un severo destino comune”? Bene, “il modo
irrisolto del peccato di Sodoma potrebbe acquisire uno status millenario di
maledizione ma anche di redenzione in un processo infinito”. Non una rinuncia
né una normalizzazione, ma dare un senso al peccato, alla colpa.
Non è però
questo il tema di Naldini. L’omosessualità rivive non giuridica, come ora usa,
per le questioni di parità, ma fisica. Risolvendola nell’inappagamento – la vera
condanna, la vera colpa. E nell’ereditarietà, via la nonna materna che veniva
da Casale Monferrato. Una inferenza che condivide col cugino Pier Paolo, col
quale vanno a caccia di spiegazioni nella cittadina piemontese. Le storie fa
non di passioni ma di corpi. Una galleria di bei tipi, per un motivo o per un
altro, i fianchi, la capigliatura, gli occhi, il “biondo veneto”, ma senza
psicologia. Nemmeno dura, del cacciatore di frodo. Una vita-ananke da “Nostra Signora dei Fiori”, il
paradigma di Jean Genet. Con partner dimore
di corpi.
È in
questa “intermittenza” che il giudizio si distacca anche da Pasolini, il cugino
maggiore che lo ha sovrastato – e forse castrato: Naldini è anche lui
narratore, poeta, commediografo, cineasta. Il gregario, curatore, e primo
biografo è qui sensibilmente critico. Di Pier Paolo, “certamente dispettoso e
insolente”, ricorda il giudizio sferzante sul suo succube: “Quel Naldini che
pare non osi nemmeno esistere”. E altri aneddoti di puro egoismo (narcisismo?).
Come quando, a Chioggia, doveva discolparlo di una lite da lui stesso provocata
e non lo fece. Ne richiama la sessualità nevrotica, sempre “per bene”, e sempre
in “situazioni allarmanti”, di “libidine compulsiva soprannumeraria”, incontenibile
e insoddisfatta. Compresa l’idolatrica – decadente, affettata – infatuazione religiosa,
con la femminilizzazione della figura del Cristo, “imprigionata dentro i suoi
privati tormenti e trasfigurata con il più folle arbitrio”. Ne ricorda l’inimicizia
degli ultimi tempi, inspiegata: culminata, “aumentando il suo rancore”, in “un
epigramma in cattiva salsa montaliana”. Ma senza astio: si è dedicato a lungo alla biografia e le opere del cugino, e qui ricostruisce affettuoso il ritrovamento
disteso il giorno prima della morte. Che sembra ritenere, benché drammatica, incidentale.
Richiama la conoscenza di Pelosi sotto il Castro Pretorio, un paio di giorni
prima dell’assassinio, come di un ragazzo di diciassette anni senza colpa, uno che
si comportava “molto gentilmente” - se non quella oggettiva della morte di
Pasolini.
Le
presenze però sono vivaci, la raccolta - di testi sparsi - è notevole perché
Naldini sa scrivere i ricordi. Specie dei personaggi: Marin, Virgilio Giotti, Bartolo
Cattafi, Giovanna Bemporad, Fellini, che la sera tirava disperatamente tardi
per ritardare il più possibile “la perfettissima dimora” di Giulietta), Comisso,
Parise, Gadda. E i Pasolini a più riprese, la madre Susanna vezzosa sempre a
tiro, sui tacchi nel fango, il marito Carlo Pasolini dell’Onda reduce di guerra
trascurato, rifiutato, amareggiato, Guido il figlio e fratello mal amato, generoso,
ardimentoso.
Nico
Naldini, Come non ci si difende dai ricordi,
Cargo, pp. 175 € 12
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