Aramco – Ritorna sul
mercato il colosso petrolifero saudita, cioè in Borsa? In piccola parte si, il
10-20 per cento. Quanto basterà a portare al erame alleanze solide, e ridare
fiato alle sue finanze in questo anno di magra, per effetto della politica,
anch’essa saudita, di contenimento dei prezzi del petrolio. Una politica
determinata dalla necessità di bloccare l’“effetto sostituzione”,che avrebbe
potuto colpire l’Arabia Saudita in due modi, come fonte di energia e come fonte
di approvvigionamento. Una piccola percentuale del suo gruppo petrolifero
nazionale supplirà ai problemi di bilancio.
Nata
settant’anni fa come American Arabian oil Company, in rappresentanza delle
compagnie americane che avevano il monopolio del petrolio saudita, con le
riserve più grandi al mondo e le più redditizie per i bassissimi costi di
produzione, è stata progressivamente nazionalizzata dopo la “guerra del
petrolio”, tra il 1973 e i 1980. La Saudi Aramco copre i nove decimi delle
entrate del reame. Quanto vale è presto per dirlo, non ci sono parametri di
riferimento. Ma un 10-20 per cento dell’Aramco basta all’“Economist” per dire
il collocamento “la vendita del secolo”.
Blocchi – La politica
dei blocchi è improduttiva e anzi autolesionista? Sì per quanto concerne l’Occidente,
cioè la Nato, il fronte comune Usa-Europa. Per la debolezza e incapacità dell’Europa.
La
politica dei blocchi resta centrale nella Nato anche nel multilateralismo, la
dottrina di Kissinger che governa il mondo dopo la caduta del Muro e il crollo
dell’Urss. In senso tradizionale, per il contenimento della Russia: in Serbia,
nel Caucaso e in Georgia, in Ucraina. E come nuova strategia mondiale, contro i
focolai di ribellione, e più in generale di contenimento del mondo arabo-islamico:
Afghanistan, Iraq, Libia, Siria, e fino a ieri l’Iran. Ma non funziona, tutti i
fronti restano aperti e incerti.
È
questa l’analisi di “International Affairs”, la rivista del ministero degli
Esteri di Purin: l’approccio occidentale non funziona, la crisi finanziaria perdurante
e quella dell’immigrazione ne sono l’esito, incontenibile. Ma questa è anche l’analisi
di vari centri studi americani, di cui il “Wall Street Journal” si fa eco, anche
se per un motivo diverso: l’inefficienza o incapacità dell’Europa, appunto. L’approccio
per blocchi si scontra con la debolezza europea, sia sulla questione immigrazione-invasione,
sia su quella degli “stati-canaglia”, in Siria e in Libia, come già in Iraq e
in Afghanistan. È su questi presupposti che Obama ha anticipato ieri a
Mattarella un intervento americano, sia pure ancora solo di supporto, logistico
più che di intervento militare diretto.
Captologia – È la scienza
alla base delle app. Una “nuova scienza” proposta dal Persuasive Technology Lab
di Stanford, il laboratorio dello Human Sciences and Technologies Advanced Research
Institute dell’università. Attivo dal 1998, il laboratorio ha formato i
migliori creatori di app della Silicon Valley. Fondato da B.J.Fogg, iniziali
segrete, un ricercatore che lavora a metà per l’università e a metà per l’industria,
teorico di un Behaviour Design: “La mia specialità è creare sistemi per
cambiare i comportamenti umani”. Che è il fulcro della pubblicità . Fogg usa “metodi
della psicologia sperimentale per dimostrare che il computer possono cambiare i
pensieri e i comportamenti delle persone in modi prevedibili”, secondo il sito
del laboratorio.
Captologia è
un acronimo per “compuer come tecnologia persuasiva”. Una forma di psicologia
del consumo applicata, ma centrata sull’uso intensivo – “obbligato” - della
rete.
Destra-sinistra – L’inversione
dei ruoli sta diventando sistemica sulla questione immigrazione. In Germania
soprattutto, ma anche in Italia, malgrado le intemperanze della Lega, sono gli
industriali – i “padroni” di Dario Fo –
difendere e valorizzare le maree di immigrati, profughi e non. Che vorrebbero
ordinate, ma questo a beneficio degli stessi immigrati e non in senso punitivo.
In Germania la partita è addirittura tra la Confindustria e gli xenofobi.
La
Confindustria tedesca calcola che 600 mila posti di lavoro non sono coperti già
oggi per la debolezza della forza lavoro. Che si ridurrà in quindici anni, nel
2020, di altri sei milioni di unità, per effetto della decrescita demografica –
un fatto non ipotetico: i sei milioni non sono nati. Mentre “i profughi offrono
un potenziale gigantesco” di ampliamento della forza lavoro. Tanto più che “più della metà sono giovani con
meno di venticinque anni”.
Un
ampliamento della forza-lavoro per poterla dominare meglio, secondo i vecchi
modelli classisti di lettura? Sì e no: Gli industriali tedeschi sono anche all’avanguardia
nella formazione della forza lavoro immigrati, da tutti i punti di vista,
linguistici, culturali, tecnici, per almeno tre anni. Con la sospensione di
ogni motivo di espulsione o allontanamento, nei tre anni di formazione. E su un
presupposto che è anche dei sindacati: migliorare la qualificazione per non
abbassare i salari – la mancanza della formazione, invece, e i salari bassi e
precari caratterizzano il “modello” italiano.
Eurasia –Non c’è senza l’Europa.
Un‘evidenza di cui la politica russa comincia però solo ora a prendere
cognizione, avendo considerato il retroterra europeo un dato di fatto, acquisito. L’ostracizzazione della Russia a
causa dell’Ucraina ha fatto emergere l’Europa coma la “parte mancante” alla
strategia eurasiatica. Ufficialmente, è all’inverso che il disegno eurasiatico
viene proposto. Facendosi forza cioè dell’Oriente, della via della Seta, per
negoziare con l’Occidente: facendosi madrina e tramite dell’Eurasia, la Russia
avrà infine relazioni fruttuose con l’Europa.
Il
che è vero, ma fino a un certo punto: il retroterra asiatico dà più forza alla Russia
nelle relazioni con l’Occidente. Ma bisogna che l’Occidente, o almeno l’Europa,
sia disponibile.
Ottanta – Gli ultimi
anni felici della Repubblica sono ancora espulsi dalla storia. Ancora, cioè
dopo gli sconquassi della Seconda Repubblica. Che evidentemente non ha liberato
l’Italia ma l’ha costretta in un corridoio opaco, quello compromissorio, e
dissolvente. In altra temperie culturale si direbbe delle “forze della reazione
in agguato”. In Italia non si può dire perché questa reazione si annida a
sinistra più che a destra – i nostalgici peraltro essendosi quasi estinti per
ragioni anagrafiche. al solito
Si
sono celebrati i terribili anni Settanta. Del terrorismo urbano quotidiano. Dei
governi Andreotti. Dell’inflazione al 15-20 per cento. Del cedimento del
partito Comunista. Ma gli anni Ottanta non si possono nemmeno menzionare. Dell’Italia
quinta – e anche quarta, alla pari con la Gran Bretagna – potenza economica occidentale. Della
riduzione dell’inflazione al 3 per cento. Della maturità dei lavoratori, che si
eliminarono in un referendum gli automatismi della scala mobile. Di una presenza di primo piano,
e anzi decisiva, nello scacchiere internazionale, dal Medio Oriente (Libia,
Libano) agli euromissili. Dell’affascinante, glorioso mondiale di calcio di
Spagna, vincendo, addirittura, su Argentina e Brasile. Dei governi di Spadolini e Craxi, horribile
dictu, presidente della Repubblica Sandro Pertini – quando Scalfari se la
faceva con De Mita, e anche con Carboni. Tutto questo non è storia nell’Italia
della Seconda o Terza Repubblica. Che anche per questo forse si vergogna.
astolfo@antiit.eu
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