Bombardamenti – Si fa la storia solo
dei bombardamenti aerei anglo-americani, ma la tecnica del bombardamento
massiccio, con i cacciabombardieri, fu messa a punto e applicata alla “guerra totale”
– così come il concetto stesso e la pratica della guerra totale - dalla Germania:
nella guerra di Spagna, a Guernica e altrove, e poi, a partire dal 1939, in Polonia,
sull’Inghilterra, da Londra a Coventry, nelle Fiandre, nel Nord-Est della Francia
– Roubaix e altrove. In Francia, allo scoppio della guerra, la popolazione parigina prese per
prima misura lo sfollamento in campagna, dando per scontato che la città
sarebbe stata bombardata. “Le nostre città sono solo una parte\ di tutte le città
che abbiamo raso al suolo”, commenterà Brecht nell’“Abicì della guerra”.
In nota a una delle foto, il primo
bombardamento inglese su Berlino, la notte del 10 settembre 1940, Brecht stesso
dà però poi la paternità-responsabilità del bombardamento indiscriminato agli
anglo-americani - effetto della propaganda postbellica di Berlino Est:
“Dal 1940 all’aprile 1945 sulla sola
Germania furono sganciate:
peso del e bombe in tonnellate = 1 300 000
vittime =
500 000
percentuale delle vittime per tonn. = 0,38”
Corruzione
– Ha confini labili. Nel mondo mussulmano, nel quale il furto è un delitto
grave, la corruzione di fatto non esiste: fa parte dell’economia del dono. Fu
un grave problema per le multinazionali negli anni 1970 – e lo è tuttora per le
multinazionali italiane in Italia, presso alcuni giudici – quando una commissione del Senato Usa intese
perseguire il pagamento di mediazioni d’affari. Che nel mondo arabo, e in Iran,
Pakistan, India e altrove, grosso modo nei mercati islamici, costituivano
pratica corrente e anzi necessitata. Sia dove gli Stati sono patrimoniali, come
nella penisola arabica, sia in Iran, Pakistan, Malesia, Indonesia, nella stessa
India, etc., paesi istituzionalmente moderni. La corruzione attraverso la mediazione,
perseguita quarant’anni fa sulla scia degli Usa, fu la causa prima della caduta
dello scià: era pratica corrente dei suoi familiari, specie della sorella Ashraf.
La Malesia ne è esempio recente. Si è chiuso tre settimane fa
con un’assoluzione l’inchiesta a carico del primo ministro Najib Razak sul cui
conto erano stati trovati 681 milioni di dollari. Il sospetto era che li avesse
sottratti a un gruppo pubblico andato fallito, di cui come primo ministro era
il presidente. Si è invece dimostrato che erano un dono personale dell’Arabia
Saudita, e quindi non imputabile.
In realtà, il fatto non si è dimostrato. Questo lo ha
stabilito il Procuratore Generale Mohammed Apandi. Che era stato nominato da
Razak. Il quale è figlio di un ex primo ministro. Un dono di 681 milioni sembra
troppo. Ma il Procuratore Generale ha assicurato che 620 milioni sono stati
restituiti ai reali sauditi, senza specificare il motivo del dono né della
restituzione. E che 61 sono stati spesi,
“non per fini personali”. Ma senza dire quali. La Malesia ha anche una Autorità
Anti-corruzione. Che ha attestato anch’essa l’origine dei fondi quale donazione
saudita. Senza scandalo. La supposizione è che il finanziamento sia andato all’islamizzazione
del paese: la Malesia è uno Stato multirazziale e multiconfessionale, che da
qualche decennio è entrato nell’orbita islamica. Ma non è detto.
Napoleone – Passa ancora
per liberatore, mentre fu sofferto dai contemporanei come conquistatore. Nei
capricci di Goya, nelle caricature di Rowlandson, o a Venezia, di cui chiuse la
storia millenaria. Senza contare le predazioni, a partire dall’Egitto, una
spedizione promossa a questo solo fine, e poi sua pratica costante, in Italia,
in Germania nelle Fiandre, in Spagna.
Profughi – Settant’anni fa
erano ebrei: la prima emigrazione di
massa nel Mediterraneo, di profughi, con mezzi di fortuna e centinaia di morti,
fu quella degli ebrei europei verso la Palestina subito dopo la guerra. Erano
un nucleo piccolo ma consistente di quei dieci milioni di displaced persons, come
verranno chiamati dalla sociologia negli anni 1980, profughi in genere dall’Est,
ma anche sopravvissuti ai lager
nazisti, che costituirono uno dei punti di crisi in Europa nel
1945-1946. Otto su dieci erano tedeschi, della Prussia, della Slesia
e della Galizia occupate dai russi e dai polacchi, e furono in qualche modo
sistemati in Germania. Dei restanti due milioni (polacchi, baltici, rumeni etc,
in fuga dal sovietismo o ex collaboratori della Germania occupante), 250 mila
circa erano ebrei: 70 mila sopravvissuti ai lager, centomila ebrei polacchi che
si erano salvati nella guerra in Unione Sovietica, e nel 1946 fuggirono dalla Polonia
dopo alcuni sanguinosi pogrom, e 80 mila circa sopravvissuti in Germania e
altri paesi occupati da Hitler.
Il
Salento divenne “la porta di Sion”, dove
confluirono per l’imbarco verso la Palestina almeno trentamila e forse quarantamila
(molti non avevano documenti) ebrei europei. Il governo italiano favoriva gli
imbarchi, un po’ per ragioni umanitarie, un po’ per calcolo: “La scelta di assecondare una iniziativa
carica di risvolti umanitari, che […] intralciava la strategia inglese nel
Mediterraneo, diveniva col tempo uno strumento per riaffermare una parziale
autonomia operativa dell’Italia”, ha scritto lo storico diplomatico Mario Toscano
(“La
porta di Sion: l’Italia e l’immigrazione clandestina ebraica in Palestina,
1945-1948”, 1990). I più passavano
dal Brennero - “lo stretto canale di un vasto imbuto”, Primo Levi. Due-tremila
al mese passavano il confine di notte, da campi a campi profughi di fortuna di là
e di qua del confine, mediamente in gruppi di un centinaio a notte.
Dei
17 campi profughi (DP, displaced persons)
organizzati in Italia dall’Unrra, un’agenzia Onu, la metà erano in Puglia, a Palese, Barletta,Trani, Bari, e quattro
nel Salento: Santa Maria al Bagno, Santa Maria di Leuca, Santa Cesarea e
Tricase. Santa Cesàrea Terme nel Salento conserva ancora le iscrizioni
in nero sulla calce bianca degli edifici dei punti di raccolta e di imbarco dei
profughi ebrei di tutta Europa per il Levante.
La
lunga didascalia di una foto americana di un giornale Usa che Brecht riutilizza
nell’“Abicì della guerra”, mostra una madre col bambino ripescati in mare
insieme con altre 180 persone, mentre 200 erano morte annegate, nel naufragio
di una carretta del mare, il “Salvatro”, sulle coste rocciose della Turchia. Come
oggi. Un’altra carretta, “Patria”, era esplosa con 1.771 persone a brodo. La
“Pentcho” si era incagliata su un’isola italiana con 500 imbarcati. La “Pacific”,
con 1.062 profughi, e la “Milos” con 710, erano state costrette a proseguire il
viaggio senza sbarcare in Palestina – allora amministrata dalla Gran Bretagna.
Un’altra nave, con 500 profughi ebrei, “fu rimandata di porto in porto per quattro
mesi”.
Rendita – È ferma
all’Ottocento, la rendita al 3 per cento, le obbligazioni delle ferrovie o
delle poste, e i titoli russi (oggi
cinesi), redditizi e sicuri. Mentre non esiste più. Né di fatto né concettualmente:
si investe, anche in obbligazioni, come al casinò. Ognuno lo vede. Ma la forza
dell’apparato (pubblicità) resta soverchiante. La rendita viene tenuta bloccata
sull’Ottocento, sul secondo Ottocento in realtà, epoca di relativa stabilità
finanziaria, quella che culminerà nella Belle Époque, nel balletto Excelsior e
nei piani di Pace Perpetua, dagli stessi che fanno professione di destabilizzarla: i banchieri d’affari e tutto il business finanziario, che prospera nei
sommovimenti, e i loro referenti nei giornali – l’informazione economica è per nove
decimi originata dagli ambienti d’affari.
Spread – È una clava e
non una unità di misura. È un differenziale, ma non un misuratore inerte: è un
rapporto fra due entità analoghe, dei quali l’una è più o meno favorita dell’altra,
ma in rapporto vicendevole. Nel caso del debito pubblico in Europa, in cui i
debiti nazionali si valutano in rapporto al debito tedesco, il debito di
riferimento, ogni rincaro degli altri debiti nazionali è un alleggerimento del
costo del debito tedesco. La Germania ha interesse a tenere gli spread alti? Sì.
Stabilità – “La sinistra di
Hollande in frantumi”, titola a tutta pagina – grafica inconsueta – “Le monde”.
Senza che la Francia si strappi i capelli. Non perché la sinistra che governa
il paese è divisa. Né perché il presidente si distrae con le donne: “Julie
Gayet première dame clandestine”, titola
“L’Express”, senza sbracciarsi a chiedere dimissioni. Nemmeno perché il
presidente possa essere – Hollande lo è, dopo Sarkozy - un improvvisatore e
forse un incapace. Hollande, il presidente, è stato eletto per un termine, e
per quel termine governa – non è detto che con elezioni anticipate si abbia un
governo migliore.
astolfo@antiit.eu
Nessun commento:
Posta un commento