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giovedì 25 febbraio 2016

Il mondo com'è (251)

astolfo

Armistizio – Quello che si dovrebbe applicare in Siria suscita perplessità perché è un istituto desueto. Molto coltivato tra gli addetti e i cultori dell’arte militare e della diplomazia, è cancellato nella pratica. Da quarant’anni, dalla trattativa kissingeriana a Parigi per il ritiro americano dal Vietnam. Era la pratica costante di tutti i conflitti, ma con la guerra che è sempre giusta non è più praticato: la guerra non è più un duello o una partita tra due avversari, ma una sorta di combattimento tra gladiatori, da finire dissanguati, con la resa incondizionata e\o l’annientamento.

Captologia – Si sa a che le app servono: a passarci il tempo, e nello stesso tempo focalizzare un profilo utente che si trasformerà in introito pubblicitario. Cioè in royalty sulla vendita dei messaggi di cui sono veicolo. Ma in materia la captologia – lo studio della tecnologia che modella i consumi, habit-forming - ha presto fatto molti passi avanti. Basandosi sul Behavior Model di J.B.Fogg, il direttore dello Stanford Persuasive Technology Lab della Stanford Graduate School of Business, l’allievo Nir Eyal, un programmatore di giochi e lui stesso ora professore alla Stanford di Psicologia applicata del consumato, annuncia già una guida pratica al miglior utilizzo economico delle app, “Hooked. How to build Habit-Forming Products”. A partire da facebook, o meglio ancora da instagram, “la più produttiva”: l’app migliore è quella che innesca un bisogno e nello stesso tempo offre una soluzione temporanea. Il manuale si annuncia così: “Sensi di noia, solitudine, frustrazione, confusione e indecisione spesso inducono una lieve sofferenza o irritazione, e provocano una quasi istantanea e spesso involontaria azione per scacciare la sensazione negativa. Gradualmente, queste connessioni cementano in abitudini, da utenti che si rivolgono al vostro prodotto quando subiscono certi impulsi interni”.

Si spiega che Facebook abbia rilevato Instagram, una start-up, una piccola azienda in avviamento, con soli dodici dipendenti, cinque anni fa per un miliardo di dollari.

Cospiratori-Collaborazionisti – Anche di Lech Walesa si trovano tracce di collaborazionismo, col regime comunista che poi abbatterà col sindacato Solidarnosc’. Come già si sarebbero trovate di Ignazio Silone col fascismo. Ma non è una novità: in tutti i casi, reali o letterari, di oppositori e rivoluzionari ci sono sempre zone grigie. Il rivoltoso, anarchico, terrorista, entra inevitabilmente in contatto con le polizie: lo controllano, lo convocano, ogni tanto lo arrestano e sempre lo minacciano o ricattano. 
È così in letteratura non per caso, riflettendo casi cioè di cronaca, da Dostoevskij a Conrad, Belyi, Némirvosky: tutti presentano il ribelle impaniato in trame oscure, per i necessari contatti che le polizie gli impongono. Ma soprattutto andrebbe ricordato Lenin, la cui collaborazione con lo Stato Maggiore tedesco, intesa a portare la Russia fuori dalla guerra, fu decisiva per il suo rientro in patria, e per il finanziamento della rivoluzione.
Ancora più impaniato in questi traffici fu Parvus, la mano finanziaria di Lenin. Un uomo dell’ombra che “La morte è giovane”, romanzo di Astolfo in via di pubblicazione, così tratteggia:
“(Della Soluzione Finale) la decisione era già presa, al Wannsee si definirono i dettagli. Nel lusso che lusingava Eichmann. Parvus, l’inventore della rivoluzione permanente e dello sciopero generale, vi aveva tenuto corte, nel palazzo che sarà poi delle SS, ricevendo ministri, diplomatici, affaristi, socialisti, con servi, cuochi, segretari, attrici e squillo. «Il Grande Gatsby» anticipando, il film di Luhrmann. Il denaro di cui si era appropriato infine trovando da restituire a Gor’kij, mentre prediceva modi e tempi della seconda guerra. Dopo aver dissuaso la Germania, coi milioni dello Stato Maggiore tedesco, dalla rivoluzione.
“Parvus è il prototipo del sinistra-destra, l’affarista idealista che i bolscevichi finanziò con l’oro teutonico e dei nazionalisti balcanici. Ed è l’uomo di mano in banca che affascina i compagni, sulle cui tracce verranno Stavisky, banchiere in Francia dei radicalsocialisti prima della puntatina fatale, come Alberto Sordi, a Chamonix, e l’editore fantasista Maxwell, che affascina il laburista Wilson. E si arriva a Lenin che sbarca alla stazione Finlandia dalla Scandinavia neutrale dopo il tentativo abortito col treno diretto dalla nemica Germania, e dopo che il compagno “Parvus”, l’umile, Israel Lazarevic Helphand, aveva circuito l’ambasciatore a Istanbul von Wagenheim, ottenendone i fondi segreti del ministero tedesco degli Esteri e dello Stato Maggiore, venti milioni e mezzo di marchi oro e un milione di rubli. Per questo Rosa Luxemburg avrà torto quando obietterà alla pace separata di Lenin: “Brest-Litovsk rafforza l’imperialismo tedesco e impedisce la rivoluzione”. Dieci anni prima, al congresso di Stoccarda, entrambi erano per la guerra, “per accelerare la distruzione del capitalismo”. Ma Lenin ne sapeva di più, che bisogna “trasformare la guerra imperialista in guerra civile”. E la Germania sincero ammirava, per la disciplina. A Gor’kij Parvus conteggiò 136 mila marchi oro, 35 mila dollari, intascati vent’anni prima quale agente per i suoi diritti d’autore in Germania, più l’interesse legale annuo del 3,5 per cento, sulla base dell’arbitrato dell’Internazionale nel 1908”.

Cuba – È difficile fare il conto dei torti e delle ragioni nelle relazioni con gli Usa. Però una cosa Obama avrebbe potuto fare – e invece non farà, la sua essendo una presidenza conservatrice: chiudere la prigione speciale di Guantànamo e ridare la base a Cuba. Come avrebbe dovuto da tempo. Un gesto che farebbe dell’isola il 51 mo stato della federazione, con sicuro plebiscito, ma Washington non fa: la Dottrina Monroe resta in vigore, ed è sempre imperialista.

Destra-sinistra – Solo in Italia si dice la sinistra egemonica e la destra subalterna. Forse nei posti, non nella cultura: è chiaro che, seppure ci siano gruppi di potere di sinistra al governo, la leadership culturale è di destra. Non da ora: da Thatcher e Reagan in poi. Anzi da prima, dalla crisi fiscale dello Stato: la sinistra non sa governare se non può spendere. Il voluminoso “L’immagine sinistra della globalizzazione” di Paolo Borgognone ne è la prova materiale. Sarcastico nel titolo, è convinto nell’argomentazione, anche al solo sfogliarlo: è incontestabile. Arrivando al punto di dire la nuova sinistra europea subalterna al grande capitale finanziario, e solo il lepenismo coerente e conseguente con le ragioni professate. Che sono quelle tradizionali della “sovranità monetaria” come base di ogni sovranità. Non innovative. Ma non è questo il punto, il punto è che non si obietta, se non con l’accusa di fascismo.
Borgognone si può sfogliare a Roma solo alla libreria Europa dietro San Pietro, che si professa di destra. Ma questo è parte della dissimmetria: scambiare lo schieramento per la politica, l’idea, l’egemonia.

Presidenza Usa – È sacra, nella prima costituzione moderna, laica. Obama è un fumatore, ma noi non lo sappiamo. La sua madre ha avuto problemi psichici, ma noi non lo sappiamo. Lui ha avuto e ha problemi con la moglie, ma noi non  lo sappiamo – di Kennedy era ancora peggio: era uno “scannatore” compulsivo, ma nessuno ci diceva nulla, nel gran pettegolare che pure si faceva dei Kennedy. La figura del presidente americano è, malgrado il giornalismo scandalistico e\o d’inchiesta di cui l’America si adorna, una realtà sacrale. Non propriamente, il presidente non è un totem, non per diritto, ma gode di un’aura sacrale. Avvocatizia come tutto negli Usa: posto cioè che non compia atti visibili contrari alla legge, magari aver sottratto l’ennesima sigaretta che fuma alla segretaria. Ma inemendabile.
Dappertutto la figura del capo dello Stato mantiene un che di sacrale, ma in America il presidente è anche il capo del governo, uno cioè che fa e disfa, e andrebbe riportato in terra – un personaggio pubblico in tutti gli aspetti. Per di più, attraverso le alleanze, e le strategie politiche, postbelliche, il presidente Usa ha un potere quasi decisionale in buon numero di paesi, tra essi l’Italia. Ma non per questo è meno sacrale, lo è anzi di più. Il presidente americano potrebbe essere un pazzo, purché non sia stato dichiarato tale prima.

È in questo quadro che non va sottovalutata la campagna elettorale americana, e la guerra che ci minaccia nel Mediterraneo e in Medio Oriente. La campagna presidenziale mostra di premiare i due estremisti, di destra e di sinistra. Sembrerebbe impossibile, ma Trump ha il 50 per cento di possibilità di diventare il nuovo presidente. Ne ha dette e fatte della peggiore specie, nei trenta o quarant’anni dacché è “Trump”. Compreso oggi far lavorare a basso prezzo nelle sue imprese molti latinos  contro i quali propone il muro al Messico, forse non legalmente, non del tutto. Ma finché è il “fenomeno” Trump è inattaccabile. Anzi, benché tirato fuori pari pari  dalla commedia del’arte, è ritenuto da metà – qualcuno in più, qualcuno in meno – degli americani un auspicabile presidente.

Ponte di Messina – Di nessun interesse per nessuno, siciliani compresi, e di danno o perlomeno noia per i molti, è un progetto autoreferenziale, architettonico e ingegneristico, per finanziare architetti e ingegneri, in studi professionali, lautamente, con progetti e calcoli a nessun fine se non appunto la distribuzione di non modesti capitali pubblici. La vacca da mungere settoriale, o la cornucopia. Lo stesso partito si alimentò a lungo di un progetto di ponte sul lago Maggiore, tra Laveno e Intra, gallegiante, con due passaggi per i natanti alle stazioni terminali, “di costosissima manutenzione e di totale inutilità” in un vecchio racconto di Piero Chiara. E Nel Duemila, per il Giubileo dei famosi duemila cantieri da un miliardo l’uno della giunta Rutelli di cui non restò traccia visbile.
È anche una iniziativa per il Sud – la sola di due anni di governo Renzi - ma non a beneficio degli ingegneri e architetti del Sud. Anche questo non è una novità.

Province – L’abolizone-agglomerazione è un topos burocratico – cioè della moltipicazione dell’inutile. Mussolini la prediligeva, a Reggio Calabria, Imperia (Oneglia e Poerto Maurizio), etc. Sempre con la stesa giustificazione: accentrare per risparmiare. Mentre si sa che i prefetti non diminuiscono di numero, e neanche i consiglieri elettivi locali. Ora si trasformano le province in aree metropolitane, ma le pratiche non si aboliscono, i “documenti” da fare, di qua o di là.

astofo@antiit.eu

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