L’incontro tra il papa e il
patriarca di Mosca non “cambia il mondo”. Viene dopo mille anni di
scomuniche reciproche, e almeno cinquanta di approcci vaticani, dalla
conclusione cioè nel 1965 del Concilio, che ha levato l’embargo – le tante scomuniche.
Ma le “incomprensioni” non sono finite, e la chiesa ortodossa russa non ha
alcuna propensione verso Roma. È il patriarca in persona, Kirill, che ha questa
curiosità, ma per arrivarci ha dovuto architettare un incontro semi-fortuito in
aeroporto, all’Avana: il sinodo dei suoi vescovi non ne è contento. Per gli
attriti secolari, e per uno recente: l’attivismo antirusso dell’ortodossia ucraina
di obbedienza latina.
I vescovi hanno infine
accettato, anche se l’incontro dovrà essere informale, perché Putin ne ha
bisogno. L’ortodossia russa non è insensibile all’urgenza della patria. L’incontro
è una delle tante iniziative di Putin per uscire dall’isolamento. Non tanto per
la questione ucraina – nella disattenzione la divisione del paese sta diventando
fatto compiuto. Quanto per le sanzioni.
Cinquant’anni fa era anche il
tempo in cui il figlio di Breznev si faceva ricevere in Vaticano, dall’altro papa
conciliatorista, Paolo VI. Nel quadro di una balorda westpolitik di Breznev, l’uomo che poi occuperà con l’armata rossa
mezza Europa orientale.
Un passo avanti però c’è: Putin
è più serio di Breznev – il cui figlio veniva a Roma a gozzovigliare con le
squillo di via Veneto, facendosi scarrozzare in Ferrari (il sovietismo è stato
anche questo).
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