La
preistoria di Instagram, sulla comunicazione-persuasione per immagini. Di un
potere però rovesciato, dissuasivo: Le immagini di guerra sono di distruzione,
nella sconfitta: occhi bassi, smorfie di sofferenza, fango, macerie. Più che un
abbecedario una appello contro la guerra. Contro la guerra di Hitler, ma poi
anche, su pressione del Partito, degli Alleati occidentali. Ma sempre malinconico
più che militante. Brecht sperimenta qui la retorica delle immagini più che
quella dell’antimilitarismo.
Analogo esperimento aveva anticipato
Ernst Jünger negli anni a cavaliere del 1930 con cinque volumi fotografici e un
breve saggio sul “nuovo primitivismo” della civiltà delle immagini, e sulla sua
violenza “tecnica”, connaturata al mezzo
(una mostra se ne è tenuta a Milano nel 2007, a Brera). Nel quadro del
suo tema più noto, la non verginità del mezzo: “La tecnica possiede il senso di
un mezzo esistenziale in confronto al quale la differenza delle opinioni non ha
che un ruolo subordinato”.
Quello di Jünger era il primo ripensamento del linguaggio
delle immagini, che sarebbe stato successivamente fertile, tra gli altri con
Benjamin, Barthes, Sontag – la quale spesso cita Jünger. Sulla traccia
jüngeriana per eccellenza della modernità egualizzatrice (uniformante), per i
singoli e per la società. “La vita moderna produce immagini caratterizzate da
una sempre maggiore geometria… Una disciplina automatica cui sono sottoposti
sia l’essere umano che i suoi strumenti”. Nel volume che Jünger progettò con
Edmund Schultz per la mostra di Brera, una sorta di antologia dei volumi da lui
steso curati, una sezione è dedicata
alla guerra, “La guerra non ha creato un ordine del mondo”.
Brecht
preparò questa raccolta per una ventina d’anni, concentrandola sulle immagini
di guerra. E la corredò via via con
quartine di commento, più evocative che didascaliche, La breve nota di Ruth
Berlau, che curò la pubblicazione nel 1955, l’anno prima della morte di Brecht
già malato, ne spiega la composizione in termini politici: “Non sfugge al
passato colui che lo dimentica”. Nelle quartine è presente – voluta dal partito
– anche la polemica anti-americana e anti-occidentale. Coll monito su un
nazismo sempre vivo: “È ancora fecondo il grembo da cui è strisciato”. Anche
questo di propaganda, riferito alla Germania Federale, benché non senza verità.
Ma con una nota di fondo, che era quella sua propria originaria, prima della
censura, che ci fu, sulla potenza dell’iconografia: “Questo libro vuole
insegnare l’arte di leggere le immagini”, assomigliate a “vere e proprie
iscrizioni geroglifiche”.
Bertolt
Brecht, L’abicì della Guerra,
Einaudi, pp. 162, ill., € 11
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