La
parodia del filmaccio splatter. Ci
sono anche un’impiccagione dal vivo, e uno squartamento a colpi d’ascia, oltre
alle solite revolverate-deflagrazioni di teste e visceri: una overdose di immagini dette forti, molte
peraltro ripetitive, nessuna memorabile. Forse i volti esagerati. Ma si
annegano nel parlato, volutamente artefatto: elaborato, soprammesso.
Tarantino
si moltiplica, fa la parodia della parodia, del Tarantino stesso prima maniera,
splatter. E, volendo fare i cinefili, di Sergio Leone naturalmente, la musica di
Morricone aiutando. Della “Sporca dozzina” per l’ambientazione chiusa, cupa,
notturna, tutti maschi - c’è una donna, ma è peggio: Jennifer Jason Leigh è
solo una maschera di sangue rappreso, senza figura (fa senso rivederla lo
stesso giorno, su Sky in “Washington Square” vent’anni fa, una che da sola
regge l’immenso Henry James). Del giallo alla Christie, parlato-parlato. E
soprattutto, dopo Tarantino, di “Ombre rosse”, per la claustralità – lì tutto
si svolge dentro una diligenza, qui dentro una locanda, in un paesaggio
ghiacciato. Con molto Godard, forse inconscio, il parlato-parlato sommandosi
all’inquadratura fissa e al soggetto frontale. Geniale e faticoso.
Di Leone
la parodia è di “C’era una volta l’America”, coi desperados - messicani, neri, mulatti, bianchi fottuti - invece
delle borghesie urbane, drogate e mafiose. Ma non nostalgico, cattivo: un
“sogno americano” di tutti contro tutti, come si legge nelle cronache, che
tutti si sparano. Con una punta di razzismo. Lo stesso, sottile, di “Django
unchained”, l’altro western di
Tarantino un paio d’anni fa, il primo. Il film è diviso in episodi. L’ultimo,
intitolato “Uomo nero, inferno bianco”, vede tutti morti, ma del nero, il mastermind della carneficina, non si può
dire, non si vede spirare, né del suo succube bianco, un figlio di confederati
spregiatore dei neri – una fine diversa solo per consentire un sequel?
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