giovedì 4 febbraio 2016

L’amore virtuale è più reale

L’amore oltre la morte. Nell’iperrealtà dell’immateriale (virtuale). Da una storia di Gianni Rodari, “C’era una volta il barone Lamberto, ovvero i misteri dell’isola di San Giulio”, sul lago d’Orta, i luoghi stessi del nocciolo scenografico del film. Allargata alla virtualità elettronica, e-mail, skype, iphone , e all’astrofisica delle stringhe e la particella di Dio. “Una storia di realismo tecnologico”, la vuole il regista, “oltre i sensi”. Ma ne ha fatto una storia ben realista, seppure tecnologica, e ben dentro i sensi.
Uno storione complesso, com’è nelle corde di Tornatore, regista visionario, moltiplicatore di immagini. Ma semplificato. Un’elaborazione del lutto. “Ci occupiamo di stelle morte milioni di anni fa, anzi sono vive per noi perché sono morte”: la filosofia del protagonista, un astrofisico, è il filo della sua vita oltre la morte, la giusta presenza in ogni circostanza, l’assenza che più di tutto pesa. E una storia filosofica (semiologica), sulla consistenza, quasi materialità, della virtualità.
Non del tutto perché i due protagonisti sono reali e hanno una storia reale. Personaggi forti: lui è professore, con una famiglia che lo ama, lei una studentessa, che si paga gli studi facendo la controfigura al cinema, per scene di morte violenta - forse per esorcizzare la morte del padre in un incidente di macchina con lei alla guida. Ma la storia si dipana dopo la morte di lui, tra sviluppi elettronici, di forte impatto emotivo. Sullo sfondo dell’ananke sterile della quotidianità. Nonché degli stessi media tradizionali, compresi il cinema in cui il regista eccelle e l’arte, dell’immaginario sterile – di mercato, di maniera. Immateriali sono le passioni. .  
Giuseppe Tornatore, La corrispondenza

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