Autore – L’Autore s’impegna
Per la
cuccagna
E un po’
anche per la fregna.
D’Annunzio – Ambiva a essere musicato, e per questo attaccò
Mascagni, il principe in quel Fine Scolo dell’opera in musica, bollandolo “velocissimo
fabbricatore di melodramma”. Da critico del “Mattino” s’ingegnò di far cadere nella
stima il grande successo de “L’amico Fritz” al debutto a Roma, il 31 ottobre 1891,
al teatro Costanzi ora dell’Opera, un anno dopo lo strepitoso successo nello
stesso teatro della “Cavalleria rusticana”, l’opera del debutto. Vantandosene
poi con Barbara Leoni: “Con una propaganda quasi feroce, credo che ebbi una
parte non lieve nella caduta di quella grossolana opera”. Una soddisfazione maggiore
perché, con le sue mene, “castigo inflitto a un artiere bestiale dallo stesso bestiale
pubblico che lo levò agli astri alcuni mesi fa”.
Non
riuscì a impedire però la rappresentazione dell’“Amico Fritz” a Napoli un anno
dopo, il 2 dicembre 1892, ma recidivò l’attacco, con un articolo intitolato “Il
capobanda”.
L’avvicinamento
sarà operato per il tramite di Scarfoglio, e sul finire del decennio lo stesso
Mascagni, commosso dalle insistenze, proporrà a D’Annunzio un trittico
patriottico, “Trilogia Italica”. Che però D’Annunzio, ora impegnato in teatro
con la Duse, lascia cadere. Ancora un decennio e la collaborazione si materializza
per “La Parisina”, 1.400 versi di D’Annunzio. Un’opera “ineseguibile”, giudica
Mascagni, troppo lunga, che comunque ci prova, e anzi si trasferisce vicino
Parigi per facilitare i contatti con D’Annunzio. Che però, già musicato da Debussy
e in contatto con Stravinskij e Pizzetti, non è più interessato e non si
scompone nemmeno quando l’opera crolla alla rappresentazione.
Dante - È europeo, anzi “l’europeo”, altro che
islamico. È lui stesso il suo Ulisse un po’ Odisseo, errante per sete di
conoscenza. Che la conoscenza – il mondo – racchiude nel libro. Alla fine della
“Commedia”, quando vede in Dio l’universo, lo vede in forma di libro: “Nel suo
profondo vidi che s’interna,\ Legato con amore in un volume,\ ciò che per
l’universo si squaderna”. Volume, legato, quaderno.
Un mondo
non chioso in sé, come nell’islam, e compiaciuto, che santifica il facile
masochismo (il martirio) ma curioso, e sempre in gioco.
Misasi – Si chiama Nicola, uno dei
tanti del secondo Novecento che sopravvivono solo nel censimento di Croce. Fu
attivo in gioventù a Napoli e a Roma. In contatto con i nomi blasonati del
1880-1890: Matilde Serao, Scarfoglio, Di Giacomo, Carducci, D’Annunzio, Fogazzaro,
Verga, Capuana, con l’editore Sommaruga, con le riviste in voga, “Cronaca
bizantina” e “Fanfulla della domenica”. Fu autore di molte
opere, almeno una cinquantina, nessuna che si ricordi.
Ebbe
nel 1888, al concorso Sonzogno per un’opera musicale in un atto, l’occasione
per diventare celebre. Mascagni, giovane compositore livornese in cerca di
gloria (veniva dalla direzione della filarmonica di Cerignola…), chiese un
libretto al poeta suo conterraneo Giovanni Targioni Tozzetti, proponendogli “Marito
e sacerdote”, una novella di Misasi. Targioni Tozzetti accettò, ma poi suggerì
una novella di Verga, “Cavalleria rusticana”.
Novecento – Si potrebbe
dire il secolo della barbarie. Per le dittature, gli stermini, le guerre totali, le rese incondizionate. Per la storia
insomma. Ma più per un bizzarra ma non peregrina osservazione di Vitaliano
Brancati, lo scrittore, nel pieno del
secondo conflitto mondiale (l’elzeviro “Due viaggi”, pubblicato dal “Corriere
della sera” il 15-16 marzo 1943, ora in “Scritti per il «Corriere» 1942-1943!”,
a cura di Giulio Ferroni). A proposito del Duecento, secolo invece fertile: “I
veri barbari erano più numerosi che nel ‘900, epoca di amori sviscerati per
l’uomo primitivo, ma in nessuna testa di europeo si trovava, come nel ‘900, la
retorica della barbarie, l’esaltazione della barbarie, etc.. L’uomo di azione
sognava di diventare un uomo colto, e l’uomo colto non rimpiangeva mai di non
essere un uomo d’azione”.
La
retorica della barbarie. Con un codicillo che non lascia dubbi: “(la barbarie
medievale ha rinsanguato il nostro continente: nessuno può negarlo. Ma il
Medioevo è fatto di barbari che vogliono incivilirsi e non di uomini inciviliti
che vogliono diventare barbari!)”.
Già
il Colombo di Leopardi è stanco, viaggia per noia – nel Cinquecento forse non,
ma sicuramente nell’Ottocento la trasformazione è avvenuta: quel Colombo non ha
nulla a che vedere col vero ma così è per il poeta, che è l’uomo per
antonomasia del libro – della ricerca, della scoperta.
Omero – Viene letto a ritroso, carico
dei valori e le sensibilità successive: romantiche, eroiche, genealogiche (imperiali),
occidentali. Per un ruolo di anticipatore che senz’altro ha avuto e ha – l’autore
è creatore. Ma eludendo o disperdendo molti manifestazioni di altra sensibilità,
che invece lo arricchiscono. L’onore sempre di Troia sopra gli Achei, Ettore e
il fratello Paride (la disgrazia), Ulisse e Diomede. Anche le vicende che
sembrano più classiche, assestate: Ettore e Achille, Achille e Patroclo. Achille
e Patroclo. Achille e Ettore.
Simone
Weil lo legge nel contesto, e anche quello è sorprendete, dell’ “Iliade” come poema
della forza – non della patria, la libertà, la civiltà, l’Ellade, l’Occidente.
Presenza scenica – Ora è magra. Un tempo era
la voce, la gestualità, anche l’imponenza.
Oggi è la silhouette e la
statura – la voce ce l’hanno tutti, più o meno educata, il do di petto non va
più e quindi nemmeno la cassa toracica, la dizione e il portamento s’imparano
in poche lezioni. La soprano americana Lisette Oropesa il “New York Times” al
debutto al Metropolitan Opera ha definitori “magnetica presenza scenica”, e cantante
di “grazia fresca e incantevole lirismo”. In effetti Lisette sfila sul palco a
Santa Cecilia eretta sui tacchi dodici, magra naturale, svettante, e non
avrebbe bisogno di cantare Fauré. Dietro a lei, altrettanto magro e altrettanto
alto, il baritono Priante. Il maestro Pappano che li segue, e a cui si deve
tutto l’incanto di Santa Cecilia, sembra un servo di scena.
letterautore@antiit.eu
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