Basile – Per i 450 anni
della nascita nemmeno un articolo di giornale, nonché una celebrazione, uno
studio, una riproposta, un francobollo. Di Giambattista Basile, l’autore del
“Cunto di li cunti”. Del primo trascrittore e rielaboratore delle fiabe, prima
di Perrault, madame de Beaumont, i fratelli Grimm – delle stesse fiabe peraltro,
più o meno. È uno dei segni dela “scomparsa di Napoli” dall’Italia. Ma è anche
vero che la scomparsa di Basile è più antica: lo ha riscoperto Croce, che lo
volse in italiano, poi più nulla.
L’edizione di Croce è del 1925. Riproposta ripudiata perché era anche l’anno III E.F? Non c’è un crivello letterario per cernere la storia alle varie date?
L’edizione di Croce è del 1925. Riproposta ripudiata perché era anche l’anno III E.F? Non c’è un crivello letterario per cernere la storia alle varie date?
Basile manca anche a Propp, lo studioso delle fiabe.
Candido – “Un romanzetto
leibniziano” lo dice Gadda – nella filippica contro Foscolo, “Il guerriero, l’amazzone
etc.”. O non ne è la satira, del migliore dei mondi possibili? Ma è vero che il
romanzetto è leibniziano suo malgrado, perché Leibniz era – un po’ – Voltaire.
Citazione
–
È sempre un furto, ma talvolta, anche se riconosciuto, con destrezza –
furbescamente, tradendo. Rousseau amava la “Gerusalemme liberata”, assicura Starobinski,
soprattutto in vecchiaia, fino a tradurre, sintetizzandolo in prosa, l’episodio
di Sofronia. Che utilizzerà infine nelle “Fantasticherie”. Ma artatamente:
“Magnanima menzogna! Or quanto è il vero\
Sì bello, che si possa a te preporre?”. Per dire che si può essere
bugiardi. Mentre Sofronia non è bugiarda, compie un atto di resistenza contro
una ingiustizia – concetto a Rousseau, e a tutti i romantici, estraneo.
Corpo – “The
primacy of Matter over Thought” è per Man Ray un bel corpo femminile, ben
fotografato tra le ombre. Non si può dire che abbia torto.
Don
Giovanni –
Peter Handke lo fa autobiografico – un narcicista al quadrato. E la prima
avventura, con la sposa che sottrae al matrimonio, gliela fa godere soprattutto
all’addio. “Entusiasta si separò da lei: paradiso degli addii”. Dopo questa scoperta,
gli incontri si moltiplicano, all’ingrosso, al minuto e all’istante.
Il
don Giovanni di Handke è anche peripatetico, come tutti gli altri, ma più per
una condanna – un po’ come l’ebreo errante. Finché non incontra la donna in Norvegia.
Che, “secondo le concezioni del luogo”, è “malata, una folle, una disturbata”.
È allora che s’innamora. Fino a
divernirne il portavoce e il portabandiera, di lei e di tutti gli “umiliati, i
deconsiderati”. Gli anonimi, l’esito è la perdita dei nomi.
I
“rovesciamenti” sono inseparabili evidentemente dalla cultura tedesca.
Inadeguatezza
–
La nozione forse più ricorrente della psicoterapia oggi, che assomma a un senso
di vergogna uno contemporaneamente di superiorità (nel giudizio, nelle attese),
è probabilmente la figura più ricorrente della narrativa, prima della scomparsa
del personaggio. Russa: Gončarov, Gogol’, Turguenev, Leskov, Dostoevskij,
Tinyanov, Bulgakov, lo stesso esuberante Majakovskij, con le sue improvvise
tristezze. Francese: Flaubert (Félicité, Emma Bovary, Frédéric e Rosanette), quelli dell’atto
gratuito di Gide, l’apocalittico Céline, nel suo Bardamu e in proprio, le stesse
anti-figure di Sartre. Italiana: Soldati, Calvino (un modo più giusto di leggerlo).
E Melville, naturalmente, che ne è pieno.
Ossola
ne trova la radice – dell’“inadeguato” come “idiota” - in don Chisciotte. Ma il
cavaliere è un combattente, l’idiota è en
retraite, concettuale, morale (per scelta), per nascita, famiglia, educazione,
struttura mentale (culturale), perché sconfitto. Anche se in realtà opera – a
senso - l’“affermazione negativa” di Pontalis, l’ossimoro che Ossola cita in
“En pure perte”.
Il
personaggio, quindi, a tutto tondo si vuole “inadeguato”. È – era - anche un modo
per sbozzarlo, delinearlo, mutarlo, rivoluzionarlo in corso d’opera.
Lettura
–
“Possiamo contare su cinquemila lettori, non di più”, lamentava Arbasino
cinquant’anni fa, quando cominciava la sociologia della lettura. Con la prima
industrializzazione dell’editoria e il marketing. Da allora è una costante: in
Italia si legge poco. Cosa che il “nasometro” sembra confermare: non si leggono
tanti romanzi come in Inghilterra, o in Francia, tanti e così voluminosi best-seller
come negli Usa, e forse, ma non è detto, nemmeno tanta filosofia come in
Germania – non è detto che la Germania legga filosofia, non sembra. Ma una cosa
che l’Istat contesta, contando a in Italia 24 milioni di lettori di libri, di
almeno un libro. Dei quali il 14,3 per cento “lettori forti”, coloro che
leggono in media almeno un libro al mese: tre milioni e mezzo. Il 64,4 per
cento delle famiglie italiane, due su tre, ha in casa fino a 100 libri, e il
7,4 per cento più di 400. Solo il 9,1 per cento dichiara di non avere in casa nemmeno
un libro – nemmeno uno di devozioni?
È
anche vero che solo il 42 per cento degli italiani dai sei anni in su dichiara
di aver letto un libro – solo il 28,8 per cento al Sud. Ma va meglio altrove?
Se
si pubblicano circa 62 mila titoli nuovi l’anno, per una vendita di circa 100
milioni di copie, queste cifre fanno una tiratura media di 1.800 copie a titolo.
Non disprezzabile, anche se bisognerebbe sapere quanto di queste tirature
finisce ai remainders o al macero.
Il
lettore del resto è un consumatore diverso. Mentre di ogni altro prodotto che
non risponde ai requisiti di qualità per cui è stato venduto si può chiedere il
cambio o il rimborso, del libro no. Il libro è anche un prodotto che per legge
dev’essere venduto a caro prezzo. La legge di Ricardo Franco Levi proibisce che
il libro si venda a sconto, mentre del prosciutto questo è possibile, e di ogni
altra merce. Levi ha fatto male, ma può rimediare, introducendo il diritto al
rimborso se la merce non risponde alla presentazione (pubblicità,
presentazioni, recensioni).
Manzoni
–
“Sono gli insegnati, spesso, i primi nemici di Manzoni”, titola “Sette” le
Lettere al direttore. Manca la enne, certo, ma il titolo dice sbagliando la
verità: il romanzo non si legge volentieri. A dispetto delle tante elevate professioni di
alta fede manzoniana (o non saranno solo i siciliani, paraculi? di devoti si citano
da qualche tempo solo Sciascia e Camilleri), il suo è un romanzo storico ottimo
ma con un plot debole e anzi debolissimo. Di personaggi e storie che Manzoni
non capiva e non sentiva – giusto il conte zio – e non voleva imparare a
conoscere.
Più che storico, del resto, il romanzo
è satirico. Fa torto alla Spagna naturalmente, ma anche alla Lombardia nel
Seicento. Che non era la Scozia, e nemmeno terra incognita.
Secoli
–
Il Novecento è armato. No, quello è l’Ottocento, secondo l’Ingegnere Gadda
sardonico al meglio, “Conforti della Poesia”, in “Il tempo le opere”: “La
grande poesia ottocentesca disponeva di un armamentario che farebbe invidia ai
magazzini della Scala: i cimieri, i brandi, gli usberghi vi furoreggiano, i
destrieri, le pugne, le prore,le tubi, le torri, le selve, ne combinano d’ogni
maniera. Senza contare il serraglio: volatili e quadrupedi”. Così è.
Il Novecento è mortifero,
luttuoso, depresso e deprimente. Il Settecento è presto detto: impresentabile,
inemendabile, tanto è ragionevole e sa tutto. Qui ha ancora ragione l’Ingegnere:
“Ossessione immaginifica è quella d’un perpetuo celebrare , d’un interminato
sacerdozio preso le are e le tombe. I gesti rituali degli officianti, lo
spargimento dei sacri liquidi dalle sacre pàtere sul cubo dell’ara. Fronde di
alloro e di mortella, e libagioni di latte e coltivazione delle api …., di
profusione di aggettivi patronimici greci su tutti i cimiteri di memoria…”.
Si può
anche dire l’Ottocento celebrativo, contento di sé – positivamente positivista.
È il secolo del primo grande sbalzo concentrato della tecnica – solo un secolo
dopo sopravanzato, a Fine Novecento, dall’elettronica. E il secolo di maggiore
creazione di ricchezza nella storia, dell’Europa e degli Usa: le tracce sono
ampie nella letteratura, francese, americana, perfino in Tolstòj, nella “Karenina”.
letterautore@antiit.eu
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