venerdì 19 febbraio 2016

Letture - 247

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Basile – Per i 450 anni della nascita nemmeno un articolo di giornale, nonché una celebrazione, uno studio, una riproposta, un francobollo. Di Giambattista Basile, l’autore del “Cunto di li cunti”. Del primo trascrittore e rielaboratore delle fiabe, prima di Perrault, madame de Beaumont, i fratelli Grimm – delle stesse fiabe peraltro, più o meno. È uno dei segni dela “scomparsa di Napoli” dall’Italia. Ma è anche vero che la scomparsa di Basile è più antica: lo ha riscoperto Croce, che lo volse in italiano, poi più nulla.
L’edizione di Croce è del 1925. Riproposta ripudiata perché era anche l’anno III E.F? Non c’è un crivello letterario per cernere la storia alle varie date?
Basile manca anche a Propp, lo studioso delle fiabe.

Candido – “Un romanzetto leibniziano” lo dice Gadda – nella filippica contro Foscolo, “Il guerriero, l’amazzone etc.”. O non ne è la satira, del migliore dei mondi possibili? Ma è vero che il romanzetto è leibniziano suo malgrado, perché Leibniz era – un po’ – Voltaire.

Citazione – È sempre un furto, ma talvolta, anche se riconosciuto, con destrezza – furbescamente, tradendo. Rousseau amava la “Gerusalemme liberata”, assicura Starobinski, soprattutto in vecchiaia, fino a tradurre, sintetizzandolo in prosa, l’episodio di Sofronia. Che utilizzerà infine nelle “Fantasticherie”. Ma artatamente: “Magnanima menzogna! Or quanto è il vero\  Sì bello, che si possa a te preporre?”. Per dire che si può essere bugiardi. Mentre Sofronia non è bugiarda, compie un atto di resistenza contro una ingiustizia – concetto a Rousseau, e a tutti i romantici, estraneo.

Corpo – “The primacy of Matter over Thought” è per Man Ray un bel corpo femminile, ben fotografato tra le ombre. Non si può dire che abbia torto.

Don Giovanni – Peter Handke lo fa autobiografico – un narcicista al quadrato. E la prima avventura, con la sposa che sottrae al matrimonio, gliela fa godere soprattutto all’addio. “Entusiasta si separò da lei: paradiso degli addii”. Dopo questa scoperta, gli incontri si moltiplicano, all’ingrosso, al minuto e all’istante.
Il don Giovanni di Handke è anche peripatetico, come tutti gli altri, ma più per una condanna – un po’ come l’ebreo errante. Finché non incontra la donna in Norvegia. Che, “secondo le concezioni del luogo”, è “malata, una folle, una disturbata”. È allora che s’innamora.  Fino a divernirne il portavoce e il portabandiera, di lei e di tutti gli “umiliati, i deconsiderati”. Gli anonimi, l’esito è la perdita dei nomi.
I “rovesciamenti” sono inseparabili evidentemente dalla cultura tedesca.

Inadeguatezza – La nozione forse più ricorrente della psicoterapia oggi, che assomma a un senso di vergogna uno contemporaneamente di superiorità (nel giudizio, nelle attese), è probabilmente la figura più ricorrente della narrativa, prima della scomparsa del personaggio. Russa: Gončarov, Gogol’, Turguenev, Leskov, Dostoevskij, Tinyanov, Bulgakov, lo stesso esuberante Majakovskij, con le sue improvvise tristezze. Francese:  Flaubert  (Félicité, Emma Bovary,  Frédéric e Rosanette), quelli dell’atto gratuito di Gide, l’apocalittico Céline, nel suo Bardamu e in proprio, le stesse anti-figure di Sartre. Italiana: Soldati, Calvino (un modo più giusto di leggerlo). E Melville, naturalmente, che ne è pieno.
Ossola ne trova la radice – dell’“inadeguato” come “idiota” - in don Chisciotte. Ma il cavaliere è un combattente, l’idiota è en retraite, concettuale, morale (per scelta), per nascita, famiglia, educazione, struttura mentale (culturale), perché sconfitto. Anche se in realtà opera – a senso - l’“affermazione negativa” di Pontalis, l’ossimoro che Ossola cita in “En pure perte”.

Il personaggio, quindi, a tutto tondo si vuole “inadeguato”. È – era - anche un modo per sbozzarlo, delinearlo, mutarlo, rivoluzionarlo in corso d’opera.

Lettura – “Possiamo contare su cinquemila lettori, non di più”, lamentava Arbasino cinquant’anni fa, quando cominciava la sociologia della lettura. Con la prima industrializzazione dell’editoria e il marketing. Da allora è una costante: in Italia si legge poco. Cosa che il “nasometro” sembra confermare: non si leggono tanti romanzi come in Inghilterra, o in Francia, tanti e così voluminosi best-seller come negli Usa, e forse, ma non è detto, nemmeno tanta filosofia come in Germania – non è detto che la Germania legga filosofia, non sembra. Ma una cosa che l’Istat contesta, contando a in Italia 24 milioni di lettori di libri, di almeno un libro. Dei quali il 14,3 per cento “lettori forti”, coloro che leggono in media almeno un libro al mese: tre milioni e mezzo. Il 64,4 per cento delle famiglie italiane, due su tre, ha in casa fino a 100 libri, e il 7,4 per cento più di 400. Solo il 9,1 per cento dichiara di non avere in casa nemmeno un libro – nemmeno uno di devozioni?
È anche vero che solo il 42 per cento degli italiani dai sei anni in su dichiara di aver letto un libro – solo il 28,8 per cento al Sud. Ma va meglio altrove?
Se si pubblicano circa 62 mila titoli nuovi l’anno, per una vendita di circa 100 milioni di copie, queste cifre fanno una tiratura media di 1.800 copie a titolo. Non disprezzabile, anche se bisognerebbe sapere quanto di queste tirature finisce ai remainders o al macero.
Il lettore del resto è un consumatore diverso. Mentre di ogni altro prodotto che non risponde ai requisiti di qualità per cui è stato venduto si può chiedere il cambio o il rimborso, del libro no. Il libro è anche un prodotto che per legge dev’essere venduto a caro prezzo. La legge di Ricardo Franco Levi proibisce che il libro si venda a sconto, mentre del prosciutto questo è possibile, e di ogni altra merce. Levi ha fatto male, ma può rimediare, introducendo il diritto al rimborso se la merce non risponde alla presentazione (pubblicità, presentazioni, recensioni).

Manzoni – “Sono gli insegnati, spesso, i primi nemici di Manzoni”, titola “Sette” le Lettere al direttore. Manca la enne, certo, ma il titolo dice sbagliando la verità: il romanzo non si legge volentieri.  A dispetto delle tante elevate professioni di alta fede manzoniana (o non saranno solo i siciliani, paraculi? di devoti si citano da qualche tempo solo Sciascia e Camilleri), il suo è un romanzo storico ottimo ma con un plot debole e anzi debolissimo. Di personaggi e storie che Manzoni non capiva e non sentiva – giusto il conte zio – e non voleva imparare a conoscere.
Più che storico, del resto, il romanzo è satirico. Fa torto alla Spagna naturalmente, ma anche alla Lombardia nel Seicento. Che non era la Scozia, e nemmeno terra incognita.

Secoli – Il Novecento è armato. No, quello è l’Ottocento, secondo l’Ingegnere Gadda sardonico al meglio, “Conforti della Poesia”, in “Il tempo le opere”: “La grande poesia ottocentesca disponeva di un armamentario che farebbe invidia ai magazzini della Scala: i cimieri, i brandi, gli usberghi vi furoreggiano, i destrieri, le pugne, le prore,le tubi, le torri, le selve, ne combinano d’ogni maniera. Senza contare il serraglio: volatili e quadrupedi”. Così è.
Il Novecento è mortifero, luttuoso, depresso e deprimente. Il Settecento è presto detto: impresentabile, inemendabile, tanto è ragionevole e sa tutto. Qui ha ancora ragione l’Ingegnere: “Ossessione immaginifica è quella d’un perpetuo celebrare , d’un interminato sacerdozio preso le are e le tombe. I gesti rituali degli officianti, lo spargimento dei sacri liquidi dalle sacre pàtere sul cubo dell’ara. Fronde di alloro e di mortella, e libagioni di latte e coltivazione delle api …., di profusione di aggettivi patronimici greci su tutti i cimiteri di memoria…”.

Si può anche dire l’Ottocento celebrativo, contento di sé – positivamente positivista. È il secolo del primo grande sbalzo concentrato della tecnica – solo un secolo dopo sopravanzato, a Fine Novecento, dall’elettronica. E il secolo di maggiore creazione di ricchezza nella storia, dell’Europa e degli Usa: le tracce sono ampie nella letteratura, francese, americana, perfino in Tolstòj, nella “Karenina”.

letterautore@antiit.eu

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