Giovedì Weidmann, il presidente
della Bundesbank, ha ammonito la Banca centrale europea a non insistere nella
politica anti-deflazione: “Non c’è deflazione”, ha detto. Venerdì l’Istat
tedesco ha comunicato che a febbraio l’inflazione in Germania è tornata
negativa, come già un anno prima. Mentre gli araldi dei mercati finanziari, “Financial
Times” e “Economist”, invocavano “carrettate di liquidità”. E i ministri del
Tesoro del G-20 a Pechino discutevano di come evitare “il caso Giappone”, la deflazione
ormai venticinquennale, il ristagno.
Weidmann aveva dati
sbagliati? No, sapeva già che i prezzi in Germania vanno al ribasso.
Non c’è un rischio deflazione, ha detto, “anche se nei prossimi mesi l’inflazione
tornasse sotto zero”. E le proiezioni per il 2016, ha anzi aggiunto, di una lievitazione
dei prezzi dell’1 per cento, saranno ridimensionate. Ma ha insistito: “La Bce
non deve farsi influenzare dalle aspettative di breve termine dei mercati
finanziari”, dalla richiesta di maggiore liquidità.
Il
problema di Weidmann non è il ristagno delle economie dell’euro, dopo la grave
crisi bancaria e del debito. Che se prolungato equivale a un suicidio, lento ma
ferale. Dell’economia, del fondo dell’economia, non parla mai. Il problema del’euro
è come liberarsi da tanta insolente ottusità.
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