mercoledì 24 febbraio 2016

Secondi pensieri - 252

zeulig

Auto -Tutto è auto- nell’epoca del selfie: l’autoreferenzialità fa aggio su ogni esperienza. Biografica, politica, artistica: l’età è dell’“io e il mio io”. Sia pure di modesta e modestissima qualità-entità.
Tutto è self-centered, eccetto l’autocritica. Mai una diminuzione, un ritrarsi, anche in forma di professione di umiltà, per condiscendenza o opportunismo. Una volta ci si raccomandava diminuendosi, oggi al contrario gonfiandosi.

Censura – Si giustifica ma non ha ragione – razionalità. Non quella del potere che è intesa rafforzare. Scorrendo l’Indice ecclesiastico dei libri proibiti vi si trova Dante, “De Monarchia”, e alcuni sonetti di Petrarca. Un po’ di Erasmo, che tanto penò per difendere la chiesa, e perfino la “Critica della ragiona pura “ di Kant, di cui nessuno si può dire migliore cristiano. Fu condannato perfino, dopo un secolo, un papa, Pio II, il suo “Commento” al concilio di Basilea. Di Galileo invece, sospetto e quasi eretico, solo il “Dialogo”, e solo per un secolo o due. Si condannava ancora negli anni 1930, Croce e Gentile, qua do la chiesa era già in ritirata. E anzi ancora nel 1952, Moravia.
Si spiega su questo o quel presupposto ma è solo un atto d’imperio, finché dura il potere. Di un potere  negativo, cioè puramente coercitivo. La chiesa non ebbe bisogno dell’Indice quando dominava le coscienze, lo adottò quando diffuse l’incredulità.

Dio - È legato agli eventi. Anche quello biblico, che ha il pedigree più lungo, Come concezione generale e anche in teologia: le proprietà che se ne analizzano sono diverse da epoca a epoca.

È un “grande operaio senza testa, senza mani, e senza utensili”, che “ha fatto il mondo”, per l’haitiano di Diderot nel “Supplemento al viaggio di Bougainville”.

Etnico – Alcune cose lo sono indefettibilmente, per natura: la lingua, parlata e scritta, della letteratura compresa, la cucina, gli umori e gli amori, cioè la sensibilità, e quindi la mentalità, la socialità. Legate a flussi storici – non c’è la tribù nel sangue – ma non per questo meno durature. Anche nelle fasi accelerate (mutevoli) della stria. Quello che avviene in questi anni in Europa è perfino eccessivamente etnico, quasi caricaturale: i tedeschi fanno i “tedeschi”, gli italiani gli “italiani”, i francesi i “francesi”, ognuno ritorna al suo vieto guscio.
La cosa non ha buna stampa. Non senza motivo, essendo tao il tribalismo a lungo, almeno un secolo e mezzo e tuttora, sotto forma di caratteri nazionali e nazionalismo una bestia molto violenta. Una delle differenze tra latini e germanici è, secondo Jünger, che i primi fingono sentimenti che non sentono. I tedeschi invece non lo fanno? È così che il tentativo degli ebrei di passare per tedeschi fu preso per una manovra subdola di distruzione, da nemico interno. C’è sempre un complotto della storia nelle identità nazionali, di cui nel Cinquecento, e ancora nel Seicento, si facevano filastrocche per ridere, ma poi piacquero agli Enciclopedisti. Sempre per via della razionalità, che fu quindi sistemata nel patriottismo, gigantesco Ersatz universale: dell’etica, che è sempre personale, dei desideri, l’amore, l’intelligenza, perfino del sesso e del cibo, quello buono.
Ne nacque il problema dei confini. E dei caratteri nazionali, per cui oggi un napoletano sarebbe più vicino a un milanese di quanto un milanese sia a un mercante di Amsterdam. E si pone il problema della cattedrale gotica, che simbolizza la storia tedesca, ma è stata disegnata e sperimentata in Francia da architetti francesi - si dice “alla francese” per dire gotico. Né c’è uno “spirito del tempo” gotico: allora si era materialisti. È che i primati mutilano la storia. E finiscono in Siria: Damasco e ora Aleppo, che per non dispiacere alla capitale si porta come primo mercato della storia. Per cui si torna sempre a Grillparzer: “Dall’umanità alla bestialità attraverso la nazionalità”. Ma il fatto c’è: esiste, resiste.

Fanatismo – È inemendabile perché immateriale. Insensibile non solo alla ragione ma alla convenienze. Nonché alla critica e al ridicolo, come suggeriva lord Shadìftesbury. E perfino all’istinto basico della sopravvivenza. Mentre si sottrae alla guerra, alla caccia. Anche nella sua forma più criminale o distruttiva, per l’immaterialità. Contro la quale non c’è arma, per quanto giusta e buona.
È l’“entusiasmo” che Locke critica in Philosophy as the Love of Truth versus Enthusiasm”. Di cui molto si è discusso anche in teologia. E il suo allievo Shaftesblury, nella “Lettera sull’entusiasmo”, contro le superstizioni indotte dal fanatismo.

Galileo – Non fu teologo. E questo lo condannò e lo salvò: lo condanno a una condanna lieve. Fu tante cose, per esempio scrittore ottimo, ma non esperto delle cose divine, benché – abbastanza – conoscitore delle Scritture. Tenne per ferma la divisione tra fede e scienza, anche di fronte al suggerimento del “concordismo”, della, anche se tiepida, professione di un legame inalterabile. E questo ne fece Galileo, più che l’uso del cannocchiale.

Fu condannato – lui come tanti altri - in base all’Antico Testamento. Il che oggi, con la nazionalizzazione delle fedi malgrado le professioni di ecumenismo, ne fa una doppia vittima, della chiesa e dell’impossessamento della Bibbia da parte della Chiesa. Non improprio, dacché l’autonomia dal Vecchio Testamento è condannata come eresia, quella di Marcione. Ma non si sa mai.

Guerra giusta – È quella ingiusta per definizione: una guerra cioè che cerca non la contrapposizione a un nemico ma il suo annientamento, attraverso la guerra totale (la guerra aerea che dal Vietnam in poi è la sola strategia militare) e la resa incondizionata. L’ideologia della guerra giusta è all’origine anche storica della guerra totale, di annientamento. Teorizzata da Hitler e dai suoi Stati maggiori, applicata costantemente dagli Stati Uniti nel dopoguerra.
È un dato evidente, che Bobbio bizzarramente non considera (“La guerra nella società contemporanea”). Benché fosse già in evidenza nel saggio “Il concetto discriminatorio di guerra” che C. Schmitt pubblicò nel 1938 – e indirettamente canonizzava con la “teoria dei valori”, ogni valorizzazione implicando svalutazioni plurime, fino all’annientamento: non c’è più un nemico che può avere anche ragione, in parte, un “iustus hostis”, ma uno da eliminare, nemico dell’umanità, un criminale, etc..

Onu – Non è “Astraea” , l’impero unito universale, e non è un’assemblea democratica dell’umanità: è un tribunale. Con giudici a vita e altri interimari. Con poteri di coercizione – finora limitati, che però si vorrebbero più incisivi.

Mondo – Era in latino la porta dell’inferno. Anzi, nemmeno: un passaggio circolare attraverso cui le anime dei Manes, i defunti, passavano tre volte l’anno per invadere i viventi. Anche pulito, ripulito, emendato.

Nichilismo – È antinomico: pensare il niente è negarlo.

Resistenza – È l’opposto del sacrificio. È nozione e attitudine storicizzata, esistenziale. Non c’è la resistenza nell’epica romantica - a partire dal Tasso, via i primi romanzi, “femminili”, gli esercizi delle “preziose”, benché cerebrali, le “Lettere portoghesi”, Madame de la Fayette: c’è il sacrificio.

Santità – È sindrome diffusa, un bisogno, quasi un virus, popolare. Di Umberto Eco come di ogni defunto: un personaggio non fa in tempo a morire, sia pure David Bowie, che se ne vagliano i minuti atti, con intenti celebratori, e se ne rincorrono i miracoli. C’è più bisogno di santi in epoca di irreligione? 
È lo stesso bisogno oggi ricorrente di ancorare la politica alla teologia, seppure a una teologia politica. È l’eterno ritorno della metafisica: il mondo profano è più bisognoso di sedimenti di eternità..

Storia – È casuale più che consequenziale (coerente), e sicuramente non predeterminata – la storia delle “cause” è delle “origini” è sempre ambigua. Cromwell voleva emigrare in America nel 1634, e il re glielo impedì. La storia sarebbe stata allora lineare: la Repubblica puritana sarebbe nata più propriamente in America, con le forche e i complotti, invece che con il liberalismo mite di Hamilton e Jefferson, facendo tabula rasa.

zeulig@antiit.eu

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