Del “carici”, o raganella, si è persa perfino la memoria in una
generazione o due. È – era - una ruotina dentata, di legno, che si fa girare a
manovella, e urtare contro una lamella di legno robusto sollevandola a ogni giro con uno scoppiettio
a ripetizione, da jusatre per le feste e specie per le cerimonie pasquali
legate alla Resurreziolne. Dario Fo ne attesta l’uso a Pasqua anche nei suoi
borghi in Lombardia, in “Dario e Dio”,
dove ricorda, p. 123, l’“andare di casa in casa con le raganelle durante
i giorni della Passione a scacciare il diavolo”.
“Si è perso il Milan. Il silenzio della
società non è un bel segnale per il futuro di Mihajlovic”. È un
titolo di quando? Del 6 ottobre 2015.
Milano sempre si assolve: la colpa è degli altri.
Giorgio Romanelli denuncia al “Corriere
della sera” il disastro della Milano-Torino fino a Novara, in rifacimento da
quindici anni, e interminata, tra deviazioni e restringimenti, benché breve e
in pianura. Elogia al confronto la Salerno-Reggio Calabria, che ha lunghi
tratti montagnosi, con decine di lunghe
gallerie, e 45 km di viadotti, uno dei quali, di 1.160 m., dice il più lungo
d’Europa. Ma senza esito: non un articolo sulla Milano-Torino. Mentre piove sempre
sulla Salerno-Reggio. In omaggio alla libertà d’opinione.
Il
mito nordista del Nord
Il Nord nasce col razzismo. Spiega e
fonda il razzismo. La lunga ricerca sul “mito del sangue”, sul razzismo, che
Evola fa nel libro così intitolato, è anche una ricerca del mito del Nord. In
tutte le sue componenti – che nell’Otto-Novecento tedesco sono state moltissime.
La trattazione di Evola suona prolissa e ripetitiva tanto è lunga, di storici e
antropologi: Herder, Fichte, Gobineau, Düring (e lo stesso critico di Düring,
Karl Marx), Hans F.P. Günther, Hermann
Wirth, F. Ludwig Clauss, psicoantropologo, Franz Bopp, Theodor Poesche, Karl
Penka, Friedrich Lange, Ludwig Woltmann (“I Germani e il Rinascimento in
Italia”, 1905, che si annette il Rinascimento, e tutti i personaggi storici da
Dante a Garibaldi e Cavour, fa tedeschi di nome, è tuttora edito in tedesco),
Gustav Friedrich Klemm, Alfred Weber, Heinrich Driesmans, Oskar Lange,
Christian von Ehrenfels, Joseph Ludwig Reimer (“La Germania pangermanista”,
tuttora in edizione), Merkenschlager, Boehm, Von Leers, l’olandese Herman Wirth,
lo svizzero Bachofen - per quanto altrimenti benemerito.
Una
produzione sterminata, instancabile, anche se con poca fantasia: dalla “vagina nationum” all’origine “polare”
delle razze. Con, in alternativa, i fantomatici “ariani”, di cui i popoli
nordici sono la sola espressione, benché quelli fossero meridionali, quasi dell’equatore,
e un po’ neri. E con classificazioni
interminabili in tipi e sottotipi al limite della demenza. Per concludere con la
“religione nordica” di Rosenberg, Hauer, von Reventlow, Bergmann. O quella laica di Water Darrè,
“Contadinato quale Fonte di Vita della Razza Nordica”.
Fa lega con lo stimato Darrè l’antropologo Ludwig
Wilser che introduce nella scienza tedesca, dice Evola, “il mito «nordista»,
che poi troverà ampi sviluppi”, nel 1899, direttamente, senza menarla sulle
origini. Sulla base di “una antica tradizione lombardo-bizantina, secondo la
quale la Scania – la Scandinavia – sarebbe stata una vagina gentium, un focolare di popoli” eletti – “tutti gli Arîi
sarebbero scesi dalla Scandinavia”, non più dalle montagne indo-iraniche. Il capolavoro
di Wilser,
“Origine e preistoria degli Arî”, 1899, ancora
circola in Germania. Spiega che le culture pre-greche, l’assira, l’egizia, la
cretese, devono tutte a vene di sangue nordico. Mentre la civiltà persiana,
quella macedone e quella romana, ne sono il trionfo, su razze e culture
aborigene deboli. Si legge come si vede “Il mio grasso, grosso matrimonio greco
n. 2”, in cui per il nonno tutto è dovuto ad Alessandro Magno, e lui stesso. Ma
non per ridere, come uno sfoggio di scienza.
Un lavoro
di propaganda più che di studio e di scienza – di studio piegato alla
propaganda. Non si tratta delle qualità, o di un modo di essere, di uno o più
popoli del Nord. È un lavoro comparativo: la connotazione, costante, quasi uno
slogan, è che il Nord è migliore del Sud. La Germania lo è, come popolo puro,
originario, eletto. Da sola o in uno con i popoli del Nord, comunque “germanici”.
Dalle Svalbard a Trondheim e alla Bretagna.
Era la Germania
che si voleva affrancare dal Sacro Romano Impero, e quindi doveva crearsi un
nemico nella latinità e abbatterlo. Ma con una pugna costante su tutto il fronte
culturale - ne fu espressione anche il Kulturkampf, la lotta bismarckiana contro
la confessione cattolica nella stessa Germania. Dagli effetti “mitici”:
convinti, dominanti, incontestabili.
Il
Nord del Sud
A
lungo fu Nord pure il Sud. Il mito del Nord trionfando quale proiezione dei
desideri del Sud, la forza applicata all’industria, la perseveranza, il senso
civico e della giustizia, cui la fortuna si piega. C’è un desiderio di modelli,
forse di padroni - nessun dubbio anzi, ma non si può dire, la servitù
volontaria vuol’essere incerta.
A un certo punto Giuseppe Sergi,
siciliano di Messina e fine folklorista, scoprì che gli europei in blocco
vengono dall’Abissinia. Giunti in Europa, presero due direzioni, il Nord
baltico e il Sud mediterraneo. Quelli del Sud, dice Sergi, “per parecchio tempo
dovemmo difenderci dai barbari ariani”. Sembrava una conciliazione e invece
manteneva, seppure sottile, la distinzione.
Il
Sud del Sud
Il mito del Sud - mito deprecativo: del Sud retrogrado,
selvaggio, inferiore, delinquente - è opera in Italia del Sud, prima e
prevalentemente. Del folklorismo, e dell’antropologia, discipline più spesso,
se non quasi solo, applicate al Sud. In senso forse innocente, con intenti
presuntamente di ricerca, ma devastanti. Nel Sette-Ottocento e anche di recente.
La lista è lunga di studi e studiosi applicati
alle origini e le tradizioni del Sud – molto più estesa di quella applicata alla
Padania, per dire, o alle Italie alpine. È che resta insito, presunto e ovvio
senza nemmeno professarlo, nelle scienze umane il metro valutativo, di un più e
meno, di un meglio o peggio, e per l’etnologia e l’antropologia più che per le
altre discipline. Che in Italia si prestano subito - e anzi lo fondano e lo
rafforzano – al “divario” tra Nord e Sud, due categorie, si penserebbe per un
vero studioso, piuttosto vacue.
Il Sud è terreno preferito di questi studi
perché, si penserebbe, più ricco di tradizioni diverse. Ma non è così. La Padania,
per dire, o le valli alpine devono avere, a naso, tradizioni ben più radicate e
complesse. Ma solo il Sud è materia di studio – di oggettivazione. E l’effetto
è devastante. Valga per tutti la produzione di Ernesto De Martino, antropologo napoletano
stimato per i suoi studi sulla magia, ai quali aveva titolo come qualificato
studioso delle religioni. Sulla magia in Italia, ottimo tema. Che però lui indaga
al Sud. E nemmeno indaga: fissa e sanziona. Anche se sono pratiche inesistenti,
echi di echi letterari vecchi di secoli. Si rileggono con sgomento i suoi
capolavori, “Sud e Magia” e “La terra del rimorso”, che fissano e censurano
pratiche inesistenti, forse nemmeno come semplici giochi di società, dalla
jettatura, alle diavolerie. Napoli fissando sulle magherie, che è la città più “metropolitana”
d’Italia, innovativa in tutti i sensi, inclusa la violenza urbana. O il Salento
in una civiltà rurale primitiva, mentre è stata greca ed è avanti a tutti nella
protezione paesaggistica e ambientale.G oethe era di diverso
avviso: “Più si va verso Nord”, diceva, “più aumentano le fumisterie e le stregonerie”
– compreso il malocchio, si sa.
leuzzi@antiit.eu
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