L’attacco è già celebre, del Dio che non esiste,
però s’è inventato da Dio. Il seguito è più scontato: Dio è femmina, è nero,
anche un po’ nano e un po’ peloso, mentre Bergoglio è “un vero giullare, santo,
provocatorio, ironico, coraggioso”, e rivoluzionario, come Morales. Manca
Chavez, ma per il resto non manca niente: il rivoluzionario è a volte
conformista. Manca anche il Dio multigender. E quello capitalista. Il resto c’è
tutto: le fregnacce della Bibbia, le oscenità, le violenze, la misoginia della
chiesa di Roma, l’umanità nata incestuosa, la perfidia di Dio.
Festeggiandosi per i novant’anni, Fo è
scoppiettante come sempre – “Il sospetto è che, se ci ha fatti davvero a sua
immagine e somiglianza, anche Lui deve avere i suoi lati oscuri”. E il mondo
appare anche a lui pieno di magia, o altrimenti inspiegabile. Il “Creatore o
chi per lui” dice un mago prodigioso, dotato di un senso dell’ironia e dello
spettacolo insolito. Un artista crudele, “il cui fine è la meraviglia”.
Proprio: un attore. E ritorna spesso agli inizi, al “Mistero buffo” che lo ha innalzato da teatrante a grande
letterato – “che nel rituale mistico di tutte le religioni indica l’iniziazione,
l’incanto, lo spettacolo magico”. Al suo modo, fabulatore. Ma inarrestabile, e senza la mimica
e l’“improvvisazione” teatrale, anzi quasi sistematico.
Un
trattato Fo sembra tentare. E di teologia
morale, nientedimeno. Che è noiosa in bocca allo specialista, figurarsi a un
figurante. Per di più spietato. Del Dio violento, a partire da Caino, il
fratello buono, che induce a uccidere, o dal pio Abramo, che costringe, quasi,
a uccidere il tenerissimo figlioletto. A cui rimprovera, per pagine
imprevedibilmente lunghe, tutta la vulgata. Compreso il volgare, volgarissimo,
sant’Agostino, del “saltimbanco della croce”– che però non è, anche lui, un santo un po’ ambrosiano, come l’amato Ambrogio (c’è del marcio pure a Milano?).
Con un che di conformista, purtroppo. Effetto forse della
ripetitività: non c’è luogo comune che Fo ci risparmi, attorno a Dio, alla
Bibbia, anche ai Vangeli, con profusione di vangeli apocrifi, e alla chiesa di
Roma. C’è perfino il “liberi tutti”. Di un Cristo che si oppone a Dio suo Padre
nel nome del Sessantotto, della rivolta generazionale e dei valori. Si
sbeffeggia lo Spirito Santo, che, al più, si accetterebbe femmina – ma qui Fo
non perde un colpo, non dovrebbe essere multigender? E la castità di Maria,
naturalmente, la castità non è un virtù, nemmeno in chiave anticlericale. Politicamente corretto anche con Giuda, appiattito sul Giuda
del Millennio, “il più degno degli apostoli”, il complice segreto del disegno
del Figlio di Dio. E scontato, di luoghi comuni e perfino frasi fatte – fuggire
a gambe levate, infuriato come una belva… Con un bisogno di
completezza, si sente, da sistematizzatore: non c’è piega dei testi sacri che
non esamini, da incredulo celebratore. L’unica cosa che non si spiega è la
predicazione evangelica all’improvviso, all’impronta, ai trent’anni, e già
illuminata. Fa così andare Gesù in India. Mentre si sa che inizia la
predicazione a Cafarnao, centro carovaniero, incrocio di commerci e di culture. Senza dimenticare che Gesù crebbe in Egitto, crogiolo di tutte le religioni.
A tratti il Giullare (di Dio?) sembra scherzoso – eccessivo. Ma c’è il sospetto che
non lo sia. Come molti atei professi, Fo è di spirito
intensamente religioso, inquietamente – un angelo ribelle, anche lui. “Per
scoprire Dio bisogna lottare con lui”, gli suggerisce l’intervistatrice, e in
effetti con Dio Dario ha molta familiarità, di giorno e anche di notte, ci
discute e lotta pure nei sogni. Questo è l’ultimo di una lunga serie di
canovacci, compresi quelli femministi di Franca Frame, su Dio e dintorni, a
partire dal “Mistero buffo”. Che resta giustamente celebrato, mentre lo stesso
intreccio di argomenti qui è prolisso e pretenzioso - molto “divino”: un Dio strapotente e strafottente ha in mente Fo, cardinalizio, non pietoso, misericordioso come oggi si dice, il Dio cattivissimo di Mosè e non quello della Passione, che unifica Cristo con Persefone, Dioniso, Osiride.
Il
meglio si racchiude in un paio di pagine: il nome Fo, l’infanzia in una
Lombardia remota, dove il medico arriva, quando arriva, per caso (per miracolo).
E le sintesi immaginifiche di cui conserva la maestria. Di Giona. O del nonno
“Bristìn”. O delle rappresentazioni pittoriche. Di tante figure della Cappella
Sistina. Delle figurazioni apocalittiche, di Cimabue, Luca
Signorelli, Giotto, Bosch.
Da
studioso d’arte rilegge il “Cenacolo” di Leonardo sempre corrivo: Giuda è
l’unico sereno, insieme col Cristo, e il giovane amoroso accanto al Cristo,
sognante, non è Giovanni ma Maddalena, “sua moglie” - con tratto da
attribuzionista: “Conoscendo il tratto di Leonardo, risulta chiaro che è una
donna”. Ma è di grande cultura anche nell’iconografia,
l’esito migliore di questo dialogo: Fo si precisa un letterato visivo, oltre
che linguistico, un forte padrone dell’immagine oltre che del linguaggio, più
percettivo della critica specialistica.
Quanto a Dio: gli ha dato, gli dà, anche in sogno, molteplici occasioni e lui le spreca? Se é da credere la filosofa Simone Weil: “Se si ama Dio pur pensando che non esiste, egli manifesterà la sua esistenza”.
Quanto a Dio: gli ha dato, gli dà, anche in sogno, molteplici occasioni e lui le spreca? Se é da credere la filosofa Simone Weil: “Se si ama Dio pur pensando che non esiste, egli manifesterà la sua esistenza”.
Dario Fo-Giuseppina Manin, Dario e Dio, Guanda, pp. 175 € 15
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