mercoledì 30 marzo 2016

I tentacoli dell'antisemitismo

“Il concetto stesso di popolo eletto è incompatibile con la nozione di vero Dio. Attiene all’idolatria sociale, la peggiore idolatria”. Sembra un attacco ultimativo, ma come è possibile includere Simone Weil nell’antisemitismo? Anche perché che l’“idolatria” del “popolo eletto” imputa al cristianesimo, e in particolare alla Chiesa – “Israele e Roma hanno apposto il loro marchio sul cristianesimo”. Radicale, ma non antisemita. Il suo fondamentalismo è mistico e culturale: per la bruciante propensione personale per il Cristo – l’Incarnazione, la Passione – e per la vastissima conoscenza da fine filologa della classicità.  
Queste “radici ebraiche” - il loro rifiuto – sono ben costruite. E meglio presentate. “Nell’autunno del 1940 Simone Weil scrive una lettera al ministro dell’Istruzione della Francia di Vichy, Jérôme Carcopino, in polemica con lo «Statut des Juifs», di cui mette in luce incoerenze e assurdità, e afferma con forza la propria estraneità alla tradizione ebraica”. Non basta, lavora anche, nel 1942, all’evizione degli ebrei dalla Francia quando sarà liberata - in una, si lascia supporre, con la Soluzione Finale che Hitler adottava nello stesso torno di tempo, con l’Olocausto (“soluzione” segreta ma di cui si lascia supporre che la Resistenza francese fosse al corrente): “Uno dei suoi scritti più controversi, steso durante gli ultimi mesi di vita, a Londra, mentre lavorava per France Libre (la Resistenza gollista, n.d.r.): sono pagine di commento a un testo prodotto da una delle organizzazioni della Resistenza attive nella Francia occupata dai tedeschi. In esse Simone Weil approva le proposte xenofobe e antisemite di questa organizzazione della destra politica, suggerendo di procedere certo in modo non brutale, ma con l’adozione di misure discriminatorie (per esempio impedendo agli ebrei di insegnare nelle scuole), l’imposizione di un’educazione cristiana….”.
Le due lettere non sono riprodotte , ma non importa: sono false. Esistono ma non dicono quello che si dice. Questa è la lettura di un paio di pubblicisti che si sono fatti un piccolo nome attaccando Simone Weil –pratica poco deontologica di molta pubblicistica: prosperare attaccandosi a un personaggio. Di uno dei quali, Paul Giniewski, viene riprodotto anche uno scritto, a chiusura dell’antologia. Prima di un contributo di Bataille, più ambiguo del solito, che si segnala per la cattiveria dietro l’ammirazione.
Si rilegga Bataille, ambiguo come al solito ma divertente, e si dà ragione a Simone Weil.
 “Pochissime persone hanno suscitato il mio interesse allo stesso grado. La sua innegabile bruttezza faceva spavento….”. E così via: “Riusciva seducente per un’autorevolezza dolcissima… Nera sempre, nei vestiti, i capelli come ali di corvo…”. Con frecciatine disseminate a far leggere la sua propria cerebrale trattazione dello “sradicamento”: “Il pensiero di Simone Weil non è saldo”, “il pensiero (è) intricato di Simone Weil”, e se una coerenza s’intravede, “sfuggiva all’autrice”, il pensiero delle radici “è bizzarro”, “non è chiaro”, “il vigore dell’espressione, se ne vela la fragilità, non può farlo che per un istante”, di “zelo fuori misura”, una “oltranza autoritaria”, che “può giudicarsi odiosa, ovvero immorale (rasentando l’immoralità dell’hitlerismo)”. Nientedimeno. Anche se solo, certo, “per effetto della passione” - per dire Simone Weil una poveretta, un po’ scema.
Illiberale
L’ideatore e curatore dell’antologia, Roberto Peverelli, accenna a scusare Weil per le pessime condizioni di salute e gli anni della guerra. Ma sullo sfondo di quelli che dice “tratti soffocanti e illiberali della nuova Europa sognata nell’«Enracinement»” - “La prima radice”. I “Quaderni” di appunti di Simone Weil rileggendo come ora si leggono i “Quaderni neri” di Heidegger, alla ricerca dello scandalo, anche se lei precisa che sono “riflessioni appuntate in fretta, senza ordine e senza seguito”. Non una compilazione inutile, però – inutilmente polemica.
Vista come l’antologia la presenta, la sintesi storica di Simone Weil è opinabile, in dieci righe veloci del “Quaderno X”: “Gli ebrei, questo manipolo di sradicati, hanno causato lo sradicamento di tutto il globo terrestre”. Attraverso il cristianesimo, che la Chiesa ha sradicato dalle sue origini. Attraverso l’illuminismo, che “ha accresciuto ancora infinitamente lo sradicamento attraverso la menzogna del progresso”. Con la conquista coloniale. Col capitalismo e il totalitarismo. E con gli antisemiti, che “naturalmente propagano l’influenza giudaica”. Ma i fatti ci sono tutti, questa sintesi della storia non è sbagliata. E gli ebrei sono tali in quanto biblici: testimoni, araldi, della Bibbia.
Il problema di Simone Weil è la Bibbia. Non da antisemita ma da studiosa delle religioni. La lettura della Bibbia era per lei “atroce”. Per i delitti e le infamie che celebra: “Tutto è macchiato e atroce, quasi secondo un disegno, a cominciare da Abramo”, che esordisce prostituendo sua moglie. Ma è una lettura fortemente “ricostituente” della Bibbia, benché rapsodica. Non da marcionista, di chi la rifiuta. È anche una lettura comune, la Bibbia è poco digeribile. Ed è consueta tra i classicisti. È per esempio quella di Ernst Bloch, che il monoteismo dice “enoteismo” - “non ancora in favore di un monopolio che dica il nostro dio è unico, ma in gradazione ascendente: il nostro dio è il più forte in mezzo agli altri, che, malgrado la loro esistenza, restano impotenti” – prima “che il Dio della Bibbia si differenzi dai «falsi dei»”.
Passione per il Cristo
La sua ragione e la sua analisi costante è che il Dio ebraico è del Potere e non della Passione. Altra lettura non eccezionale, né antigiudaica. Il paradigma è semplice. Può essere errato, ma per chi crede non è offensivo: “Perché la Passione fosse possibile”, la Redenzione, “era necessario che l’idea dell’Incarnazione riuscisse estranea a Israele. Così come a Roma”. Le due autorità della Passione-Redenzione, gli “esecutori volenterosi” del disegno divino: “Non esiste vita spirituale senza l’Incarnazione”, e romani ed ebrei “furono forse gli unici due popoli a ignorarla”. Molto forte, ma molto condiviso tra gli studiosi. Delude Simone Weil? Ma allora con tutti gli ascendenti. Farne un’ebreaccia antisemita è un esercizio non piccolo di antisemitismo.
La compilazione in se stessa, tematica, dei “testi anti-giudaici”, pone automaticamente Simone Weil nel campo antisemita, seppure dell’odio-di-sé, e più in anni di persecuzione degli ebrei. Ma “L’amore di Dio e l’infelicità”, letto tra le “Pensées sans ordre concernant l’amour de Dieu”, dalle quali è estratto, non ha nulla di antigiudaico. Lo stesso il brano successivo, “Israele e i gentili”: vi si condanna Mosè, ma anche la Chiesa, “modellata sulla santità di Israele”. A opera di san Paolo, che era un ebreo convertito, ma pure di sant’Agostino – “Cristo ha insegnato esattamente l’opposto di sant’Agostino”. La lettura di Mosè, ricorrente, non ha nulla di blasfemo ed è anzi storicamente inoppugnabile.  La lettura di Noè è rispettosa e anzi santificata. Anche “I tre figli di Noè e la storia della civiltà mediterranea” - certo non è “uno dei saggi essenziali per comprendere i motivi dell’antigiudaismo della Weil”, come vuole Peverelli, né ci si vedono “caratteri e limiti di fondo del suo lavoro teorico”. La lettura atterrita della Bibbia al “Quaderno X” chi non l’ha fatta? Gli “Appunti sulle relazioni originarie fra cristianesimo e religioni non giudaiche” non mostrano alcun pregiudizio. Non è sbagliato, e anzi filologicamente solo corretto, contestualizzare Israele nel Mediterraneo, con l’antico Egitto e con Platone – anche con Erodoto: è la lettura forse più vivificante, oltre che corretta, nel quadro della storia delle religioni. Chiudere la raccolta con Giniewski, e con Bataille dà il senso della compilazione. Volere che tutti (gli altri) siamo antisemitì è come con le antimafie, che tutti (gli altri) fanno mafiosi - comprese le antimafie.
Che dirne? Che questo “antigiudaismo” di Simone Weil aiuta a non rifiutare la Bibbia – un neo marcionismo – ma a leggervi dentro. Simone  Weil ha un’immedesimazione totale, una fusione, col Cristo, più se possibile di ogni altro mistico conosciuto. Ma questo non è antigiudaismo, e non è una colpa. 
Simone Weil, Il fardello dell’identità. Le radici ebraiche, Medusa, pp. 128 € 16




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