mercoledì 2 marzo 2016

Il fascismo dell’antifascismo

Scalfari usa la sua affettuosa recensione di Pierluigi Battista (“Mio padre era fascista”) su “Repubblica” lunedì, per dire come fu fascista. Dal 1931 al 1943, dalle elementari all’università. Fino a quando Carlo Scorza lo espulse dal partito per un articolo su “Roma fascista”, settimanale del Guf romano al quale Scalfari collaborava da due anni, che giudicò antifascista. Scalfari ne soffrì per quattro giorni, dice, e poi se ne fece una ragione: “Lui in questa materia ne sa più di me. Quindi ha ragione lui: io sono antifascista, altrimenti non avrei scritto quell’articolo”. Ma fa un quadro inesatto dell’analoga evoluzione degli italiani.
Di sé Scalfari può dire che era stato come tutti fascista senza riserve: “Non starò qui a raccontare come vissi quel periodo, negli anni in cui frequentavo il ginnasio a Roma, poi a Sanremo, poi di nuovo a Roma quando entrai all’Università nel ‘41. Dirò soltanto che la mia appartenenza al fascismo non era minimamente turbata da dubbi. Il Duce era il Duce, le canzoni che Battista padre canticchiava a casa ed aveva cantato a squarciagola negli anni del fascismo imperante e poi di Salò, anch’io le ho cantate e di tanto in tanto capita anche a me di ricanticchiarle adesso”  Ma, rievocando con Battista il “problema” del padre, sembra condividerlo: “Il padre aveva scelto (Pierluigi) come il solo cui confidare il proprio rovello, la propria rabbia, la propria disperazione contro l'Italia e gli italiani che erano stati (quasi) tutti fascisti durante il ventennio e poi si erano convertiti in massa all’antifascismo mettendo all’indice quei pochi, anzi pochissimi, che avevano mantenuto i loro ideali d’un tempo”. 
No: all’indice gli italiani che erano stati (quasi) tutti fascisti hanno messo l’antifascismo, di chi aveva sacrificato dieci e vent’anni, magari i migliori, all’esilio o al silenzio, se non alla prigione. Anche l’antifascismo comunista, seppure a opera di comunisti. 

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