Periandro uccide la moglie
Liside, che aveva ribattezzato Melissa per il dolce carattere, ne profana il
cadavere, non ne onora le spoglie. Perseguitato dal rimorso, si fa per dire,
convoca le donne di Corinto, la città di cui è il tiranno, al tempio, le fa
denudare dai suoi giannizzeri, e ne brucia le vesti in onore di Melissa, le cui
spoglie non hanno pace. Un romanzaccio? La fonte è Erodoto, che non amava i
tiranni, e Periandro è il primo - o il secondo dopo suo padre Cipselo - tiranno
della storia greca. Ma Erodoto qui non ricama, la storia è vera.
Amato dai filosofi (Bacone, Heidegger) per i suoi “detti”, Periandro, secondo tiranno di Corinto, è personaggio storico del VI secolo a.C.. Qualcun altro dice che fece spogliare le donne di Corinto dei loro gioielli… È più noto come uno dei Sette Sapienti. Il delitto della moglie? Nessuno, se non, forse, di essere straniera. Invisa per questo alle donne di Corinto, che spingono Periandro a trucidarla e violentarla mentre è in attesa del loro terzo figlio. Maria Teresa Di Clemente ha drammatizzato la vicenda, in questa messa in scena di Rosi Giordano, rivivedola nel ruolo di una deuteragonista, Neera, che ad Atene da etera ha saputo diventare moglie amata e madre ma non sfugge a un processo. Unendo le due vicende - la seconda, più tarda di un paio di secoli, è immortalata da Apollodoro - apparentemente dissimili.
Una drammatizzazione dunque di stati d’animo e strati storici, e quasi un manifesto. Che la regia di Rosi Giordano, al modo delle sue messinscene di Jarry, Copi, Perec, dell’umanità dell’assurdità, mobilizza con un’azione scenica costante, di corpi e materiali. Su un fondo di video-immagini e sonorità che allarga la claustrale, quasi rassegnata, vicenda delle due donne, ottime e - per questo? - perseguitate, in una più larga, “liquida”, necessariamente fiduciosa, umanità. Alle cupe vicende storche dando uno straordinario effetto liberatorio.
Le due storie, esumate da Di Clemente e Giordano dal classico “Grecia al femminile” di Nicole Loraux, sono di violenza domestica. Ma in un senso ampio: contro le donne, naturalmente, il femminicidio non è invenzione recente, contro lo straniero, e contro l’inferiore. Parte, bisogna dire, della violenza domestica (la “guerra civile”) come motore della democrazia greca, l’originale rilettura della politica nella polis dell’ellenista francese - prematuramente scomparsa. Qui nel senso dell’esclusione, che sempre rimbalza anche contro i migliori propositi.
Una storia emblematica, e non. In fuga da un’eventuale condanna - non si sa mai: la Legge è imprevedibile e arcana, lontana dalla sensibilità e la ragione - in un non luogo, fuori città, Neera incontra il fantasma di Melissa. Da cui apprende molto, per esperienza e saggezza. Sulle pieghe dell’estraneità, in forza di Legge e di stati d’animo, che inducono debolezza e martirio.
La pièce è stata montata nel 2012 al XXI Festival di Toronto, “On
Diasporas and Return”. Qui è recitata dalla stessa Di Clemente, con Giulia
Bornacin nel ruolo di Melissa.Amato dai filosofi (Bacone, Heidegger) per i suoi “detti”, Periandro, secondo tiranno di Corinto, è personaggio storico del VI secolo a.C.. Qualcun altro dice che fece spogliare le donne di Corinto dei loro gioielli… È più noto come uno dei Sette Sapienti. Il delitto della moglie? Nessuno, se non, forse, di essere straniera. Invisa per questo alle donne di Corinto, che spingono Periandro a trucidarla e violentarla mentre è in attesa del loro terzo figlio. Maria Teresa Di Clemente ha drammatizzato la vicenda, in questa messa in scena di Rosi Giordano, rivivedola nel ruolo di una deuteragonista, Neera, che ad Atene da etera ha saputo diventare moglie amata e madre ma non sfugge a un processo. Unendo le due vicende - la seconda, più tarda di un paio di secoli, è immortalata da Apollodoro - apparentemente dissimili.
Una drammatizzazione dunque di stati d’animo e strati storici, e quasi un manifesto. Che la regia di Rosi Giordano, al modo delle sue messinscene di Jarry, Copi, Perec, dell’umanità dell’assurdità, mobilizza con un’azione scenica costante, di corpi e materiali. Su un fondo di video-immagini e sonorità che allarga la claustrale, quasi rassegnata, vicenda delle due donne, ottime e - per questo? - perseguitate, in una più larga, “liquida”, necessariamente fiduciosa, umanità. Alle cupe vicende storche dando uno straordinario effetto liberatorio.
Le due storie, esumate da Di Clemente e Giordano dal classico “Grecia al femminile” di Nicole Loraux, sono di violenza domestica. Ma in un senso ampio: contro le donne, naturalmente, il femminicidio non è invenzione recente, contro lo straniero, e contro l’inferiore. Parte, bisogna dire, della violenza domestica (la “guerra civile”) come motore della democrazia greca, l’originale rilettura della politica nella polis dell’ellenista francese - prematuramente scomparsa. Qui nel senso dell’esclusione, che sempre rimbalza anche contro i migliori propositi.
Una storia emblematica, e non. In fuga da un’eventuale condanna - non si sa mai: la Legge è imprevedibile e arcana, lontana dalla sensibilità e la ragione - in un non luogo, fuori città, Neera incontra il fantasma di Melissa. Da cui apprende molto, per esperienza e saggezza. Sulle pieghe dell’estraneità, in forza di Legge e di stati d’animo, che inducono debolezza e martirio.
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