sabato 12 marzo 2016

Il femminismo è borghese, nell’ombra

L’insormontabile classismo britannico dentro la più ampia e determinata rivendicazione femminile un secolo fa,  quella per il voto alle donne in Gran Bretagna. Un tema promettente. Tanto più per essere il film di una regista di famiglia super upper class – padre milionario laburista, e baronetto, madre vice-sindaco di Londra. Ma svolto con timidezza e anzi confuso. O svigorito in fase di montaggio, dalla produzione o dalla stessa regista, a maggior gloria di quella che oggi sarebbe una battaglia “civile”, dei belli-e-buoni senza distinzione di classe.
Questo è quello che il pubblico è portato a vedere. Giocando anche sul richiamo di Meryl Streep, che invece è in scena per solo mezzo minuto. E proprio in quella che avrebbe dovuto essere probabilmente la scena madre, con la borghesissima Emmeline Pankhurst che esce dal rifugio ben protetta, dalla stessa polizia, per incitare all’“armiamoci e partite”. Anche il doppio standard della polizia, uno con le povere e un altro con le ricche, è lasciato infine in sordina, nell’indistinto generale.Un racconto incongruente. Oltre che bizzarramente triste, per essere di lotte e di lottatrici, di una rivoluzione alla fin fine.
Le donne del film non si capisce perché si ostinino, in una rivoluzione che è delle signore bene politicanti, loro che sono operaie, licenziate per il militantismo, picchiate dai mariti o cacciate di casa, quanto sono sporchi e cattivi i poveri, private dei figli, privilegiate dai manganelli e le carceri. E passive, esauste: mettono le bombe e non sanno perché. Il coevo antifemminista Marinetti richiamando subdolo, della prosa Il disprezzo delal donna, 1911:  “In questo sforzo di liberazione, le suffragette sono le nostre migliori collaboratrici, poiché quanti più diritti e poteri esse otterranno alla donna, quanto più essa sarà impoverita d’amore, tanto più essa cesserà di essere un focolare di passione sentimentale o di lussuria. La vita carnale sarà ridotta unicamente alla funzione conservatrice della specie”.
Di Emily (Davison), personaggio storico, che alla fine muore – non volendo - per la causa, ignoriamo lo spessore resistenziale: una che in pochi mesi fu imprigionata nove volte, e contro gli scioperi della fame subì una cinquantina di nutrizioni forzate, una specie di tortura. Dopo aver cercato più volte, per anni, un acculturamento universitario e una qualificazione che la redimessero dal lavoro di bambinaia. Un altro effetto mancato: il radicalismo è piccolo borghese.
Sarah Gavron, Suffragette

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