Il
maestro che Dante incontra nell’inferno dei violenti contro Dio, per il peccato di
sodomia, facendoci una passeggiata, è un poeta di “favolelli”, di narrative leggere e disimpegnate, in coppie
di settenari a rima baciata nel suo componimento più famoso, il “Tesoretto”.
Roba da filastrocca. Svolta secondo i luoghi comuni – i topoi – dell’epoca: l’avventura nel bosco, l’incontro coni
Personaggi Illustri, Ovidio e Tolomeo, le ipostasi allegoriche di virtù e
passioni, l’Amore, la Natura, la Desianza. E buon 500 versi, su un totale
di poco meno di tremila, di esortazione a un amico a cambiare vita, così come
lui stesso ha fatto.
Segue
nella raccolta, di tutti i suoi versi in volgare, un “Favolello” vero e proprio,
breve, anch’esso in settenari baciati, sulla virtù dell’amicizia con invio a
Rustico Filippi e a un altro rimatore contemporaneo, Palamidesse di
Bellindote. Con un paio di componimenti sparsi, di cui il più notevole è “S’eo
son distretto”, una poesia d’amore e devozione. Che è stata letta da molti
come un attestato dell'omosessualità di Brunetto, ma si legge come uno sfogo
nostalgico per Firenze, da cui Brunetto è stato bandito in quanto guelfo.
A
proposito del’omosessualità, oggi pruriginosa e tracciata qui e là
dappertutto,, come una bolla o una macchia, repressa, negata, celata, etc., questa
è invece l'unica cosa non in discussione di Brunetto Latini.al suo tempo. Il canto
VII dell’ “Inferno” è matter-of-fact, non
ha nulla di scabroso né di sottobanco. Il problema, leggendo la produzione in
volgare di Brunetto, è come e in che senso è stato maestro di Dante. Nulla di
magistrale, se non l’uso accettato del volgare.
Brunetto
Latini, Poesie, Einaudi, pp. 182 €
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