Antisemitismo – Era diffuso in Europa tra le due guerre, seppure
generico, argomento di conversazione e letterario. Residuo dell’uso di
connotare le pratiche negative col nome di un nemico storico. L’uso, per esempio,
durato un paio di secoli e rimasto nel vocabolario, di dire dutch, in inglese tutto ciò che è cattivo,
di dirlo “olandese”, e inglese in Olanda.
Una connotazione che è poco, non astiosa, non bellicosa, ma può essere troppo,
come si evince dal “fondo” con cui il “Corriere della sera” faceva proprie nel
1938 le leggi “razziali” antiebraiche, come di un fatto culturale. Di “mentalità”,
diceva il testo anonimo: “Provvedimento discriminatorio”, ma “di natura
eminentemente difensiva”, per “l’inconciliabile contrasto fra la mentalità fascista
– autoritaria, dogmatica, omogenea – e quella ebraica – ipercritica, corrosiva,
eterogenea”.
I “Quaderni neri” di Heidegegr,
perlomeno i due che sono già stati tradotti, non dicono nulla di più – il resto
(il silenzio sulla Shoah, sulla sconfitta, etc.) fa parte della storia personale
del filosofo, del patriottismo o nazionalismo conservatore molto comune tra gli
intellettuali in Germania. Alla stessa maniera di quello di Céline – come di
Albert Cohen.
Borghesia – È
contraffatta, nell’analisi sociologica e politica Per prima dallo stesso Marx
anti-borghese, che ne ha fatto una classe. Nel senso di una formazione sociale
compatta, mentre non lo è: è polimorfa e indistinta. La nozione stessa di
compattezza è peraltro ambigua: un blocco di interessi? un blocco di ideali?
Questi sono merce cheap, a buon
mercato, diffusa, malleabile. E quanto compatta dev’essere la compattezza?
Le
borghesie sono molte in Italia, volendo esemplificare. C’è quella
controriformistica, dei Borromeo o lombarda. Quella massonica della manomorta,
dell’appropriazione dei beni ecclesiastici. Quella compradora del Sud, da qualche
decennio spogliata di ogni autonomia o capacità d’iniziativa – un marchio, un
prodotto. Quella dei servizi o milanese, finanziaria e di opinione, della
comunicazione, la pubblicità, il marketing. La vecchia borghesia dei
gentiluomini del Sud che facevano imbufalire Salvemini. Politicamente, è stata
unitaria, Poi fascista, democristiana, ora del Pci, il poco che ne rimane – i Parioli
e … a Roma convertiti nel 1991 al futuro
partito Democratico, quello disegnato da Goffredo Bettini con Rutelli sindaco e
Geronzi (Banca di Roma) alla cassa, nel segno dei Mille Appalti alla borghesia professionale
degli ingeneri, architetti, immobiliaristi.
Lo stesso Marx rovesciò presto il
piedistallo che con Engels aveva eretto col “Manifesto” alla borghesia imprenditrice e produttiva.
Nell’analisi del 1848, “La lotta di classe in Francia dal 1848 al 1850”: “La
massa della borghesia di tutta l’Europa passò dalla parte della reazione e si
alleò con i burocrati, i nobili feudali, e i preti dell’assolutismo, che poco
prima aveva rovesciato con l’aiuto degli operai”, dichiarando “nemici della
società” quegli stessi operai. Senza “spirito di classe” - “Spiritus ubi vult spirat”, come voleva l’evangelista Giovanni,
anche se non pensava alla borghesia.
Fondamentalismo islamico - Per un arabo, e per uno che
abbia rispetto dell’islam, il fondamentalismo è una sofferenza personale e una
sfida, come un suicidio imposto alle masse, nelle forme efferate delle
decapitazioni nel nome di Allah. Come un tentativo diabolico, non potendosi più
dire imperialistico, di precipitare il mondo arano nell’ignoranza e la
brutalità.
Il
rispetto che le capitali europee mostrano - di fatto, dietro le condanne
verbali - verso questa brutalità, con abbondanza di presunte analisi
sociologiche, sociopsicologiche, e politiche, fa parte della vergogna. Specie per
gi arabi che hanno scelto l’Europa come ponte per un’integrazione nel progresso:
sono tenuti in sospetto e anzi disprezzati, in Europa s’intende, non nei loro
paesi. Anche se di gran livello, un Khadra, un Adonis.
Mi-to
–
Milano-Torino si voleva quasi una conurbazione. Milano aveva assorbito Torino,
i suoi centri decisionali, la sua capacità innovativa (a Torino è nato tutto
dell’Italia moderna, fino ai software internet), la sua banca, i suoi capitali.
Anche Umberto Eco, che è molto piemontese, è stato appropriato da Milano senza
residui. Il distacco, polemico e definitivo, degli eredi Agnelli dal “Corriere
della sera” è stata una sorpresa, ma irrecuperabile. Cone una rivolta, che
Milano non tollera – Milano non tollera le rivolte.
Il distacco degli Agnelli da
Milano è una nuova ripartenza per la capitale sabauda? Non più da leader nazionale
ma in un quadro internazionale. Potrebbe beneficiarne l’Italia – l’Italia
ambrosiana è sempre più asfittica: viene prosciugata da Milano e non irrorata,
da un affarismo senza limiti, per di più protetto dalla locale Procura. I sindacati
del “Corriere della sera” hanno attaccato duramente la proprietà Agnelli
definendola sfruttatrice: “La società (Rcs, ndr) invece di essere ricapitalizzata
è stata spolpata” – cosa bizzarramente non vera, la Fiat è stata l’unica dei
soci a immettere capitale fresco nel giornale due anni e mezzo fa. O: “Finita
la stagione dei dividendi, ora che lo sfascio è compiuto… la famiglia Agnelli
saluta e se ne va”. L’insinuazione è anche paura (la Fca, infatti, “se ne va a
rafforzare il principale concorrente del Corriere
della sera”). Ma è una vecchia polemica, vecchissima, che dice solo l’indigenza
di Milano, nella strapotenza.
Mitteleuropa
–
È quella degli steccati alla frontiera, da Vienna a Praga e Budapest. Un mito
che non aveva base, uno dei tanti filo germanici. Se non la buona burocrazia,
forse, in una politica illiberale. L’impero austro-ungarico, benché poliglotta
e a vocazione cosmopolita, era afflitto da odi intestini come e più di ogni
altra realtà europea. Tra Vienna e Budapest, tra cechi e tedeschi, tra slavi
del Sud, e tra gli slavi del Nord, nelle pianure ucraino-polacche, e dei tirolesi
di Innsbruck contro gli italiani (una pulizia etnica anzitempo). Senza peraltro
consistenza possibile, se non la propaganda – contagiosa tra i germanisti. E la
non illegittima illusione delle minoranze etniche di vedersi un giorno
accettati dalla maggioranza, serviti dello stesso pasto, pur professandosi
diversi e quindi alternativi.
Usa
- È la bizzarria che dà il carattere all’America, paese che si vuole sempre
nuovo: perché non ha il senso della proprietà. Per essere individualistico, non
ha il senso della continuità che è il cuore della proprietà – della tradizione.
E anche della libertà, conseguentemente, ha un concetto non stabile – quello legato
alla proprietà – ma anarcoide.
La città Usa è valore naturalmente immobile ma
ha carattere finanziario, mobilissimo, mancando il il senso della proprietà
stabile, e quindi della storia. C’è la
proprietà da difendere col fucile, ma quella è un’altra cosa: l’ambizione è,
dice il poeta Gregory Corso, di farsi “un guscio nel guscio” – che pare sia
un’immagine buddista: chissà come si troverebbe Budda in questa illimitata
periferia. Il senso della proprietà vi è mobile. E in buona misura accidentale,
benché le leggi proteggano il risparmio.
Senza il gusto della tradizione, e quindi
dell’eredità. Per questo la casa si classificherebbe meglio tra i beni mobili
che tra gli immobili. Anche perché è più spesso solo un cespite su cui
accendere plurime ipoteche. È raro che due generazioni di una famiglia abitino
la stessa casa, o la stessa città, e ne sentano la mancanza. L’americano è, sia
pur ricco e reazionario, un hobo, un vagabondo, uno che comincia
daccapo. Un emigrante interno, anche se ha radicato il concetto di nazione, in
quanto protettrice dei suoi diritti, di libertà più che di proprietà. Per
questo l’Europa fa figura di cariatide.
La storia vi è fissata nella pietra proprio per segnare, si direbbe, in qualche
modo questa svagatezza. Con moduli antichi, latini, greci, anche se è vaga e
breve nella forma della memoria. Lo era fino a un paio di generazioni fa,
diciamo agli anni 1960, anche nella parlata e nell’abbigliamento. Anche se si mantiene
inalterata nell’edilizia istituzionale e nelle università, per l’accumulo
di palazzi, padiglioni, casali, anfratti, capanni, prospettive di luce e
d’ombra, tutto accurato nella generale trasandatezza. Ma i tanti inglesi – e assimilati:
indiani, italiani - in terra Usa sembrano caricature, coi tweed a tre bottoni, il gilè di lambswool
e le parlate collegiali.
Vaticano – È la carta nella manica dell’Italia. Su tutti gli scacchieri internazionali, dall’America Latina all’Asia e perfino alla Russia, nonché in Africa, e soprattutto da qualche tempo in Europa. Un fatto ignorato – solo lo storico dell’identità italiana Galli Della Loggia ne fa cenno. Ma molto che non si dice o non si professa si fa.
astolfo@antiit.eu
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