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venerdì 4 marzo 2016

il mondo com'è (252)

astolfo

Antisemitismo – Era diffuso in Europa tra le due guerre, seppure generico, argomento di conversazione e letterario. Residuo dell’uso di connotare le pratiche negative col nome di un nemico storico. L’uso, per esempio, durato un paio di secoli e rimasto nel vocabolario, di dire dutch, in inglese tutto ciò che è cattivo, di dirlo “olandese”, e inglese in Olanda. Una connotazione che è poco, non astiosa, non bellicosa, ma può essere troppo, come si evince dal “fondo” con cui il “Corriere della sera” faceva proprie nel 1938 le leggi “razziali” antiebraiche, come di un fatto culturale. Di “mentalità”, diceva il testo anonimo: “Provvedimento discriminatorio”, ma “di natura eminentemente difensiva”, per “l’inconciliabile contrasto fra la mentalità fascista – autoritaria, dogmatica, omogenea – e quella ebraica – ipercritica, corrosiva, eterogenea”.
I “Quaderni neri” di Heidegegr, perlomeno i due che sono già stati tradotti, non dicono nulla di più – il resto (il silenzio sulla Shoah, sulla sconfitta, etc.) fa parte della storia personale del filosofo, del patriottismo o nazionalismo conservatore molto comune tra gli intellettuali in Germania. Alla stessa maniera di quello di Céline – come di Albert Cohen.

Borghesia – È contraffatta, nell’analisi sociologica e politica Per prima dallo stesso Marx anti-borghese, che ne ha fatto una classe. Nel senso di una formazione sociale compatta, mentre non lo è: è polimorfa e indistinta. La nozione stessa di compattezza è peraltro ambigua: un blocco di interessi? un blocco di ideali? Questi sono merce cheap, a buon mercato, diffusa, malleabile. E quanto compatta dev’essere la compattezza?
Le borghesie sono molte in Italia, volendo esemplificare. C’è quella controriformistica, dei Borromeo o lombarda. Quella massonica della manomorta, dell’appropriazione dei beni ecclesiastici. Quella compradora  del Sud, da qualche decennio spogliata di ogni autonomia o capacità d’iniziativa – un marchio, un prodotto. Quella dei servizi o milanese, finanziaria e di opinione, della comunicazione, la pubblicità, il marketing. La vecchia borghesia dei gentiluomini del Sud che facevano imbufalire Salvemini. Politicamente, è stata unitaria, Poi fascista, democristiana, ora del Pci, il poco che ne rimane – i Parioli e …  a Roma convertiti nel 1991 al futuro partito Democratico, quello disegnato da Goffredo Bettini con Rutelli sindaco e Geronzi (Banca di Roma) alla cassa, nel segno dei Mille Appalti alla borghesia professionale degli ingeneri, architetti, immobiliaristi.
Lo stesso Marx rovesciò presto il piedistallo che con Engels aveva eretto col “Manifesto”  alla borghesia imprenditrice e produttiva. Nell’analisi del 1848, “La lotta di classe in Francia dal 1848 al 1850”: “La massa della borghesia di tutta l’Europa passò dalla parte della reazione e si alleò con i burocrati, i nobili feudali, e i preti dell’assolutismo, che poco prima aveva rovesciato con l’aiuto degli operai”, dichiarando “nemici della società” quegli stessi operai. Senza “spirito di classe” -  “Spiritus ubi vult spirat”, come voleva l’evangelista Giovanni, anche se non pensava alla borghesia.

Fondamentalismo islamico - Per un arabo, e per uno che abbia rispetto dell’islam, il fondamentalismo è una sofferenza personale e una sfida, come un suicidio imposto alle masse, nelle forme efferate delle decapitazioni nel nome di Allah. Come un tentativo diabolico, non potendosi più dire imperialistico, di precipitare il mondo arano nell’ignoranza e la brutalità.
Il rispetto che le capitali europee mostrano - di fatto, dietro le condanne verbali - verso questa brutalità, con abbondanza di presunte analisi sociologiche, sociopsicologiche, e politiche, fa parte della vergogna. Specie per gi arabi che hanno scelto l’Europa come ponte per un’integrazione nel progresso: sono tenuti in sospetto e anzi disprezzati, in Europa s’intende, non nei loro paesi. Anche se di gran livello, un Khadra, un Adonis.

Mi-to – Milano-Torino si voleva quasi una conurbazione. Milano aveva assorbito Torino, i suoi centri decisionali, la sua capacità innovativa (a Torino è nato tutto dell’Italia moderna, fino ai software internet), la sua banca, i suoi capitali. Anche Umberto Eco, che è molto piemontese, è stato appropriato da Milano senza residui. Il distacco, polemico e definitivo, degli eredi Agnelli dal “Corriere della sera” è stata una sorpresa, ma irrecuperabile. Cone una rivolta, che Milano non tollera – Milano non tollera le rivolte.
Il distacco degli Agnelli da Milano è una nuova ripartenza per la capitale sabauda? Non più da leader nazionale ma in un quadro internazionale. Potrebbe beneficiarne l’Italia – l’Italia ambrosiana è sempre più asfittica: viene prosciugata da Milano e non irrorata, da un affarismo senza limiti, per di più protetto dalla locale Procura. I sindacati del “Corriere della sera” hanno attaccato duramente la proprietà Agnelli definendola sfruttatrice: “La società (Rcs, ndr) invece di essere ricapitalizzata è stata spolpata” – cosa bizzarramente non vera, la Fiat è stata l’unica dei soci a immettere capitale fresco nel giornale due anni e mezzo fa. O: “Finita la stagione dei dividendi, ora che lo sfascio è compiuto… la famiglia Agnelli saluta e se ne va”. L’insinuazione è anche paura (la Fca, infatti, “se ne va a rafforzare il principale concorrente del Corriere della sera”). Ma è una vecchia polemica, vecchissima, che dice solo l’indigenza di Milano, nella strapotenza.

Mitteleuropa – È quella degli steccati alla frontiera, da Vienna a Praga e Budapest. Un mito che non aveva base, uno dei tanti filo germanici. Se non la buona burocrazia, forse, in una politica illiberale. L’impero austro-ungarico, benché poliglotta e a vocazione cosmopolita, era afflitto da odi intestini come e più di ogni altra realtà europea. Tra Vienna e Budapest, tra cechi e tedeschi, tra slavi del Sud, e tra gli slavi del Nord, nelle pianure ucraino-polacche, e dei tirolesi di Innsbruck contro gli italiani (una pulizia etnica anzitempo). Senza peraltro consistenza possibile, se non la propaganda – contagiosa tra i germanisti. E la non illegittima illusione delle minoranze etniche di vedersi un giorno accettati dalla maggioranza, serviti dello stesso pasto, pur professandosi diversi e quindi alternativi.

Usa - È la bizzarria che dà il carattere all’America, paese che si vuole sempre nuovo: perché non ha il senso della proprietà. Per essere individualistico, non ha il senso della continuità che è il cuore della proprietà – della tradizione. E anche della libertà, conseguentemente, ha un concetto non stabile – quello legato alla proprietà – ma anarcoide.
La città Usa è valore naturalmente immobile ma ha carattere finanziario, mobilissimo, mancando il il senso della proprietà stabile, e quindi della storia.  C’è la proprietà da difendere col fucile, ma quella è un’altra cosa: l’ambizione è, dice il poeta Gregory Corso, di farsi “un guscio nel guscio” – che pare sia un’immagine buddista: chissà come si troverebbe Budda in questa illimitata periferia. Il senso della proprietà vi è mobile. E in buona misura accidentale, benché le leggi proteggano il risparmio.
Senza il gusto della tradizione, e quindi dell’eredità. Per questo la casa si classificherebbe meglio tra i beni mobili che tra gli immobili. Anche perché è più spesso solo un cespite su cui accendere plurime ipoteche. È raro che due generazioni di una famiglia abitino la stessa casa, o la stessa città, e ne sentano la mancanza. L’americano è, sia pur ricco e reazionario, un hobo, un vagabondo, uno che comincia daccapo. Un emigrante interno, anche se ha radicato il concetto di nazione, in quanto protettrice dei suoi diritti, di libertà più che di proprietà. Per questo l’Europa fa figura di cariatide.
La storia vi è fissata nella pietra proprio per segnare, si direbbe, in qualche modo questa svagatezza. Con moduli antichi, latini, greci, anche se è vaga e breve nella forma della memoria. Lo era fino a un paio di generazioni fa, diciamo agli anni 1960, anche nella parlata e nell’abbigliamento. Anche se si mantiene inalterata nell’edilizia istituzionale e nelle università, per l’accumulo di palazzi, padiglioni, casali, anfratti, capanni, prospettive di luce e d’ombra, tutto accurato nella generale trasandatezza. Ma i tanti inglesi – e assimilati: indiani, italiani - in terra Usa sembrano caricature, coi tweed a tre bottoni, il gilè di lambswool e le parlate collegiali.

Vaticano – È la carta nella manica dell’Italia. Su tutti gli scacchieri internazionali, dall’America Latina all’Asia e perfino alla Russia, nonché in Africa, e soprattutto da qualche tempo in Europa. Un fatto ignorato – solo lo storico dell’identità italiana Galli Della Loggia ne fa cenno. Ma molto che non si dice o non si professa si fa.
La carta vaticana è importante in Europa per la scelta euro vaticana di Giovanni Paolo II, il papa  polacco, e poi del papa tedesco, Benedetto XVI. Ratzinger, snobbato da Angela Merkel, residuato del Kulturkampf, è stato forte e anzi fortissimo nella Germania meridionale, Svezia e Baviera, che sono le regioni trainanti, demograficamente e economicamente, della Germania. Di Ratzinger Monti ricordava a Massimo Franco un mese fa, nell’intervista sul riavvicinamento col patriarcato russo, l’interesse sollecito per l’Italia quando nel 2012 gli chiese aiuto – in un incontro a Castelgandolfo ala fine di agosto – per smorzare la polemica antitaliana della Csu, il partito cristiano sociale della Baviera. Il papa, ricorda Monti, aveva mostrato “grande determinazione quando lo avevo avvertito dell’ostilità anti-italiana della sua Baviera durante la crisi finanziaria di quei mesi in Sud Europa. In quell’occasione aveva scritto subito al cardinale di Monaco, Marx, chiedendogli di contattare la Csu, la Dc bavarese” – che subito smorzò la polemica antitaliana. 

astolfo@antiit.eu

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