Il racconto controvoglia. C’è lo scrittore disappetente, che non ama i suoi personaggi –
non ama scrivere (creare, si diceva). Li circonda magari di un po’ d’ironia e
li lascia lì. Dopo averli sbozzati con nome, età, domicilio e ogni altra occorrenza
anagrafica, e averli messi in una
vicenda in qualche modo curiosa, lì li molla.
Succede agli scrittori
che si immedesimarono nelle avanguardie anni 1960, Celati tra questi, che si
muovevano tra la morte del romanzo (narrazione) e non sapevano che altro – fare
l’opera aperta, mettere tutto en abîme, fare
il romano della morte del romanzo… Come se la morte del romanzo fosse
effettiva: chiuso, kaputt.
Succede in questi
racconti al povero Piero – anche il nome è stanco, mediato da Campanile? La
fresca scrittura di Celati viene quindi dispersa sul proposito innovativo,
della scrittura per modo di dire. Del racconto di un non racconto. In chiave
per di più crepuscolare, che si direbbe cifra padana – il piemontese Dionisotti,
o altro leghista letterario, sarebbe felice di questo lombardo Celati. .
Gianni Celati, Costumi degli italiani, Il Sole 24 Ore,
pp. 79 € 0,50
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