“La maggioranza di coloro che difendono la
causa delle donne contro l’orgogliosa preferenza che gli uomini si
attribuiscono, passano decisamente dalla parte opposta”. Debutta con una excusatio il manifesto per l’uguaglianza
degli uomini e delle donne, come se fosse un’invasione di campo. Ma siamo nel
1622, ne è autore un donna, per giunta non bella, anzi in fama di “preziosa”, una
zitella rompiscatole (morirà ottantenne, nel 1645), e si deve far perdonare. Ma
non si censura: non per caso Marie de Gournay è figlioccia di Montaigne, e
curatrice quasi testamentaria – nel 1592, alla sua morte, la moglie e la figlia
ne affidarono a lei le carte, compresa l’opera sempre in progress dei “Saggi”.
Il tema è
semplice, di questo saggio protofemminista, in difesa del “sesso malmenato”: le
donne hanno diritto all’istruzione, le donne hanno diritto a governare. Anche
nella chiesa, di cui Marie era devota: le donne hanno diritto al sacerdozio. Su
quest’ultimo punto, cioè in fatto di religione, la libellista insiste - a
tratti anticipa perfino Voltaire: “Dio non è né maschio né femmina”. E se,
creando l’uomo a sua immagine e somiglianza, l’ha preferito maschio, beh, si è impoverito:
l’uomo-maschio non è un bell’esemplare.
L’esposizione
è diretta, seppure con riferimenti a san Paolo e altri testi canonici, insieme
con Plutarco, Platone, Aristotele, Pindaro, e anche Carneade. I tre scritti qui
riuniti, da Albina Maffioli Barsella, con una introduzione molto esauriente, prendono
una settantina di pagine – compreso l’originale a fronte: “Dell’ugaglianza”, “Lagnanza
delle donne”, e l’excursus femminista del “Passeggio del signor de Montaigne”, l’operina
per la quale De Gournay resta nelle storie. La trattazione si vuole peraltro semplice, facendsi forte delle tante donne che hanno corretto la storia, a partire dalla Bibbia e anche da Ipazia, con Giovanna d’Arco naturalmente, e le regine, Caterina e Maria dei Medici, e Anna d’Austria, la regina regnante, cui il primo saggio è dedicato.
La curatrice ne inquadra il personaggio e ciò che ne rimane nella storia letteraia. Il primo sembra prevalente, ma questi scritti non sono di maniera. La querelle des femmes, gli scritti pro o contro l’intelligenza e i diritti delle donne, era un genere corrente tra fine Cinquecento e primo Seicento: Madeleine Lazard, specialista del Rinascimento, ne ha censiti 891 in pochi decenni, a partire da Erasmo. Questi della fille d’alliance del castellano di Montaigne si fanno ancora leggere. Il breve estratto dal “Passeggio”, il primo composto in ordine di tempo, è già agguerrito contro la calunnia e il discredito sociale.
La curatrice ne inquadra il personaggio e ciò che ne rimane nella storia letteraia. Il primo sembra prevalente, ma questi scritti non sono di maniera. La querelle des femmes, gli scritti pro o contro l’intelligenza e i diritti delle donne, era un genere corrente tra fine Cinquecento e primo Seicento: Madeleine Lazard, specialista del Rinascimento, ne ha censiti 891 in pochi decenni, a partire da Erasmo. Questi della fille d’alliance del castellano di Montaigne si fanno ancora leggere. Il breve estratto dal “Passeggio”, il primo composto in ordine di tempo, è già agguerrito contro la calunnia e il discredito sociale.
Montaigne conobbe Marie
de Gournay dopo la seconda edizione dei “Saggi”, 1582, i primi due libri della
raccolta. La diciottenne Marie de Gournay gliene scrisse entusiasta, i due
s’incontrarono più volte e Montaigne fu, oltre che lusingato, sinceramente interessato
dalle doti di carattere e d’intelligenza della giovane. La dichiarò sua figlia
spirituale e ne introdusse un elogio al cap. XVII del libro secondo dei
“Saggi”, che intitolava “Della presunzione”: “Mi sono compiaciuto di dichiarare
in molte occasioni le speranze che ripongo in Marie de Gournay Le Jars, mia
figlia spirituale: e certo da me amata molto più che d’affetto paterno e
inclusa nel mio ritiro e nella mia solitudine come una delle parti migliori del
mio stesso essere. Non considero più che lei al mondo. Se dall’adolescenza si
può trarre presagio, quest’anima sarà un giorno capace delle cose più belle e
tra le altre della perfezione di quella santissima amicizia alla quale non
abbiamo notizie che il suo sesso abbia potuto finora innalzarsi. La schiettezza
e l’integrità dei suoi costumi vi sono già di per sé sufficienti, il suo affetto
per me più che sovrabbondante, e tale insomma che non c’è nulla da desiderare,
se non che il timore che essa ha della mia fine, poiché mi ha incontrato quando
avevo cinquantacinque anni, la tormenti meno crudelmente”. Più ancora è lusinghiero nel seguito:
“Il giudizio che essa dette dei miei primi Saggi, da donna, in questo secolo, e
così giovane, e sola nel suo paese, e lo straordinario ardore con cui mi amò e
mi desiderò a lungo per la sola stima che aveva di me, prima di avermi visto, è
un fatto di degnissima considerazione”.
Una donna per questo, per la considerazione di
Montaigne, e per tanti altri aspetti per
il suo tempo “eccezionale”, fuori da ogni ruolo – potendoselo permettere,
certo, come redditiera, seppure di pensioni modeste, al gradimento dei benefattori.
Non moglie, non monaca, non beghina né dama di san Vincenzo, non casalinga, ma
non cortigiana, e neppure strega, sebbene la incuriosisse l’alchimia. L’amore spirituale del
Montaigne maturo con Marie non viene considerato dai commentatori. Non come
quello, magnificato, santificato, per Étienne de la Boétie. Ufficialmente perché
questa professione di amitié amoureuse ricorre
nell’edizione 1595 dei “Saggi”, postuma, curata dalla stessa Marie. Ma
soprattutto perché Marie è un personaggio reale, e vivrà ancora dieci anni dopo
il 1635, l’anno dell’ultima riedizione, da lei sempre curata, dei “Saggi”. Non era
bella, come si vuole presumere di Étienne. Ed era donna. Una “preziosa”, cioè
saccente. Ma ben una “libertina”, come si classificava e veniva classificata,
quasi una libera pensatrice. Più modestamente, era una donna capace di pensare.
Benché stimatissima dal cardinale Richelieu.
Nulla di scandaloso, in
effetti, in Marie de Gournay. La “vecchia ragazza” che Tallemant des Réaux
tratteggia affettuosamente nelle “Historiettes”: “per bene”, di “generosità” e “forza
d’animo”, di spirito sempre acuto, anche con la dentiera. Il Cinque-Seicento fu
un secolo molto vivace, tra la fine delle guerre di
religione e prima dell’assolutismo. Non si manifestava, ma si pensava forte.
Marie
de Gournay, Dell’uguaglianza degli
uomini e delle donne, Ecig, pp. 131 € 8
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