Non ci sono solo la Grecia e
gli immigrati a non far dormire i tedeschi. Ora c’è pure Draghi, e anzi tutte
le banche. Eccetto quelle tedesche, benché molto mal gestite e anche corrotte. Tutte
le banche italiane e dei paesi che non si sa più se dire latini o mediterranei,
insomma, “quelli là”, da vituperare, ecco, quelle del Sud, così è più semplice, mentre quelle del
Nord Europa sono belle-e-buone. Eccetto quelle che falliscono - e anche la
Finlandia (e forse la Svezia…). Oggi si vota all’insegna del
rancore.
È un’altra Germania, in
un’altra Europa. Non ci si pensa ma è un fatto, consolidato, macroscopico: la
fine della guerra fredda ha lasciato l’Europa a se stessa, e si scopre che non è
cambiata. Non l’hanno cambiata le ecatombi della guerra. Non l’ha cambiata il
disegno unitario, di una politica peraltro svanita – eccetto che per Merkel e
pochi altri. Non del tutto, l’economia è unita. Ma l’Unione Europea ha inciso
poco o pochissimo sulle identità nazionali, sulle psicologie storiche. Il
tedesco si culla e viene cullato nella sindrome da accerchiamento e
spossessamento.
Non è una novità: i tedeschi
si sentono sempre minacciati, abusati, derubati, e si lamentano. Ma ora di
nuovo con l’astio. Non si percepisce fuori perché Angela Merkel fa diga, sia
sugli immigrati che su Draghi, e alla fine anche sulla Grecia. La cosa va come
lei è andata dicendo in questi anni ai suoi colleghi dei governi europei e
mondiali: non posso fare di più, la Germania non vuole, e senza di me sarebbe
un disastro. E non è una deriva momentanea o artificiosa, indotta da demagoghi
o dalla cosiddetta stampa popolare – che invece in Germania è molto buona. È il
mainstream del Paese che ha portato
la Germania di nuovo al suo imbuto sciovinista e astioso: economisti,
opinionisti, storici, industriali, banchieri.
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