“In
particolare si trattava di valutare le due principali vie che, nella
letteratura sul tarantismo, erano state finora battute dall’indagine medica: la
riduzione del tarantismo a una forma di aracnidismo e la sua riduzione a un
disordine psichico”. L’antropologo napoletano e storico delle religioni evita
il riduzionismo e crea un mondo a parte: il tarantismo è lo scongiuro di
esistenze segnate dalla povertà e l’emarginazione. Di fronte a un centro,
evidentemente. Che è lo studioso, seppure venga da Napoli.
Il resto
si cancella: il ritmo, il canto, la danza? Confinati a un appendice di
Carpitella – che effettivamente ne sa di più, sulla scorta anche di Kircher e Storace.
La ritualità? I “tarantati” sono cronici, per la festa dei sampaolari a fine
giugno, e Galatina, dove c’è la chiesa e la devozione di san Paolo, ne è immune
– i “tarantati” vi convengono da fuori. E sono donne – il Pontano le chiamava
“carnevalate di donne”. Ma l’etnografo non demorde, la cosa in sé gli è
estranea. La sua splendida pubblicazione, che al tempo (1961) fece epoca, è
tuttora per molti aspetti esemplare: illustrazioni, ricchezza di riferimenti,
contributi specialistici, di Carpitella e Jervis, e di Letizia Jervis-Comba, Amalia
Signorinelli, Vittoria De Palma. Ma è impegnata nel progetto: una forma di
antropocentrismo, nel senso dello studioso di antropologia, che annulla del
tutto il fenomeno, nonché ridurlo. Dove è qui la scienza? Non
nella “ricerca sul campo”. Sarà come dice Lévi-Strauss in “Tristi
tropici”, dopo una vita: “La condizione dell’etnografo è simbolo di
espiazione”.
De
Martino riprende il tarantismo dove l’aveva lasciato Athanasius Kircher, il
gesuita scienziato del Seicento, che lo aveva trascritto anche in musica. E lo
curva al progetto. Ma con gli stessi aneddoti, irrigiditi in pregiudizi. Il proposito
è di usare l’etnografia “ai fini di una storia religiosa del Sud, da intendere
come nuove dimensione conoscitiva della cosiddetta «quistione meridionale»”. Lo
studioso comincerà dal tarantismo. Per una ragione? La prima idea del
tarantismo come inizio di una storia religiosa del Sud gli viene guardando
“alcune belle foto di André Martin sui riti di san Paolo a Galatina dal 28 al
30 giugno” – la festa dei sampaolari.
Analogamente,
molti dei tanti riferimenti si perdono nell’irrilevanza, tra il colore e la
bizzarria. La purga primaverile come “misura igienica medievale”,
mentre tutti l’abbiamo presa da bambini, quindi ancora negli anni 1950. Stefano Storace, che nel 1753 scrisse per il londinese
“Gentleman’s Magazine” di un tarantolato di Torre Annunziata a cui egli stesso
ebbe a suonare la tarantella risanatrice, è lasciato nel folklore – un napoletano
a Londra. Il tarantismo diviene religione del rimorso per l’autorità del
Pontano, il quale dice che, mentre gli altri non hanno scuse per le loro
pazzie, i pugliesi ne hanno sempre pronta una, il morso della taranta – nel
dialogo “Antonius” che è una satira, dei grammatici e degli italiani. Per di
più, De Martino lo accomuna alle possessioni – di donne – rituali in Africa, e
in Haiti, Brasile, etc.. Etc. Non manca l’apparentamento al “morbo sacro”, all’epilessia.
Oggi il
Salento - ma già dal alcuni decenni- è uno dei giardini meglio tenuti e
più prosperi d’Italia. Ma non è questo il punto: è che De Martino è la massima
autorità italiana in fatto di antropologia – venerato perlomeno come tale. Il
cui maggiore e anzi unico contributo sarà stato di seppellire il Sud sotto una
coltre di scongiuri, jettature, magie, paure “ataviche”. Tutto quello che il
Nord si aspettava e si aspetta dal Sud, con qualche aggiunta, sia detto tra
parentesi, tanto non incide. Ma è senza fondamento, se non la stracca ideologia
del tutto è bisogno.
Il
tarantismo esiste da millenni – è esistito. Vissuto in altra temperie,
culturale e religiosa, essendo anche un fenomeno di canto e danza. Da storico
delle religioni De Martino fa un affascinante, oltre che utile, excursus delle
tante testimonianze. Prima e dopo la “ricerca sul campo”. Che è la filmatura di
una sessione di tarantismo. E la “curvatura” al politicamente corretto
dell’epoca. Tutto al di fuori della realtà ma non sterile: uno dei tanti
macigni ha eretto che accasciano il Sud nella maledizione, il rimorso
aggiungendo alla superstizione e alle magherie.
Ernesto
De Martino, La terra del rimorso,
Il Saggiatore, pp.445, ill., € 12
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