martedì 22 marzo 2016

L’anima dell’Europa infetta l’Africa, al casino

Proposto in libreria tra i gialli, è un’epopea. Della cultura africana dai faraoni al vudù e al jazz. Di cui si propone di curare un’epidemia, cui vanno soggetti i bianchi, indotti a ballare fino a morirne.  Datata, 1972, e di autore accademico, poi professore a Berkeley, università di California, per oltre trent’anni, l’epopea è anche una satira, dei bianchi e dei neri insieme. Sconclusionata – “haitiana” – e divertente ancora oggi, animata da un detective animista, Papa LeBas, coadiuvato da un mago illusionista, Black Herman. Ma, nell’ambito della Black Renaissance, della riscoperta africana delle radici, è anche un’“americanata”: un atto di pirateria, americana, nei confronti dell’Africa. Di cui qui non c’è niente eccetto il colore della pelle.
L’assunto è oggi scontato: c’era un’Africa prima del razzismo. Non così ancora cinquant’anni fa, quando la riscoperta si veniva facendo col “sole delle indipendenze” africane. Spuntato in Africa e coltivato dagli africani, specie in Kenya e in Senegal. Anche in America, già nel primo Novecento, con Marcus Garvey, Booker. T. Washington e William E. DuBois, ma come ricerca dell’Africa. Cinquant’anni fa, al tempo del Vietnam, Reed, Martin Bernal e innumerevoli altri, con James Baldwin e gli scrittori americani di pelle nera, se ne sono appropriati come di un “circus” americano, con poco rispetto per la storia, e per l’Africa. Un fenomeno di cui è utile dare conto con la presentazione che, all’apparire, ne fa Astolfo in “Non c’è anarchico felice”:
Lo storico Diop è stato defraudato, la storia si fa negli Usa - sarà vero pure questo del Saggio di Gobineau, che “la storia sorge solo dal contatto con le razze bianche”. Si fa all’università, e in Mumbo Jumbo, che fu il primo prestito africano dell’inglese d’America, il casino, ed è ora romanzo di Ishmael Reed. Gli africani si prendono non solo l’Egitto e i faraoni, ma le crociate, i templari e ogni complotto, secolare e religioso, di prima e  dopo, gli africani d’America. Semplicemente mimando la razza bianca del conte – di cui anche la Bibbia dice in fondo che i neri sono un’altra espressione. È l’essenza dell’uguaglianza. Un mumbo jumbo, dice Reed nel suo romanzo storico alla maniera di Walter Scott, l’inventore della scozzesità, è anche giallo, gotico, d’azione e sentimentale, un po’ di tutti i generi si appropria, l’America del Vietnam trasponendo in dimensione animista. La storia della cultura è seduzione irresistibile, benché rischiosa, e gli africani amano divertirsi, sono spensierati ed è il loro bello. Una volta individuato il meccanismo, l’operazione è semplice, la tentazione grande, la storia è della stupidità – anche se il quesito insorge: dove collocarsi, africanisti, terzomondisti, uomini di buona volontà?
“Nero è, con Cristo, tutto l’Occidente. E non c’è scampo per i monogenetisti: nera era Eva e il paradiso terrestre, che sta in Sud Africa dalla parte della Rhodesia, o era in Kenya. Il detective metafisico di New Orleans PapaLaBas pratica nella cattedrale di Mumbo Jumbo vudù e animismo, per esorcizzare la cospirazione contro la coscienza dell’Occidente, il furto che ai neri si fa del rock. L’America balla con gli spiritelli che Haiti ha tenuto nel vaso. Senza la filologia di Senghor e il razzismo antirazzista di Sartre, balla e basta, è un’altra religione e un diverso Occidente. Mentre l’Europa sta con gli associati al bilancino, radiocarbonio, dna, genealogie, etimologie. Il ritorno si fa in the Usa: rimosso Booker Tagliaferro Washington, il pedagogista, omesso Marcus Garvey ma non rimosso, Reed, Martin Bernal e Chester Himes cercano e trovano le radici a New Orleans, in Brasile, ad Haiti. L’America è grande: se evita la barbarie, nella guerra in Vietnam dove carica come toro infuriato cieco, ha dalla sua oracoli e dei. Garvey il ritorno in Africa volle materiale, con le navi, i dollari e i fallimenti dolosi. Ora il ritorno si fa circolare, da e per gli Usa – dispiacerebbe ai gentili afroamericani vivere in un paese altrettanto grande ma vero yoruba, la Nigeria per esempio. E dunque anche la tradizione sarà stata alla fine rubata all’Africa, dai neri americani.
“Ma l’Africa è un falso scopo, in realtà è dell’Europa che i neri si appropriano tramite gli Usa, appropriandosi dei metodi. L’America si rifà nera con tutta la storia dell’Europa. L’Africa faceva bell’arte al tempo dei faraoni, l’Africa sicuramente nera. Non ne ha memoria non avendo scritto nulla, nemmeno sulla pietra, o sulla corteccia degli alberi. Ma la materia fossile è piena di bei manufatti, già gli studiosi sistemano le epoche, dei Nok, dei Yombé, dei Dogon, e quando ci saranno soldi per un’archeologia nera si scopriranno tombe e palazzi. Non di questo però si tratta, questo è Ottocento attardato, l’Europa del nazionalismo. Si tratta di prendere all’Europa l’anima, o all’America. Anche se non si capisce perché rubarla, tanto più se è bacata”.
Ishmael Reed, Mumbo Jumbo, Mimimum Fax, pp. 303 € 14.50

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