Agosto – “Agosto, moglie
mia non ti conosco”: tanto l’afa è debilitante? Si dissolverebbe in mezza riga
il romanzo famoso di Campanile.
Eco - Era scontento del giornalismo e dell’editoria, i suoi
secondo e terzo mestiere. L’insoddisfazione per il modo di fare giornalismo,
condensata da ultimo in “Numero zero”, è costante nei “Diari” e nelle
“Bustine”. Dell’editoria fece una satira perfino cattiva, insistita, nel
“Pendolo di Foucault”.
“L’Espresso” e “la Repubblica”
ne mandano in edicola le opere come “un omaggio alla cultura della leggerezza”.
Che a Eco avrebbe fatto piacere e no. Resta come quello di una visione non
apocalittica della vita. Nell’età della crisi non è un approccio da poco.
Nemmeno integrato.
Fabrizio De André invece, in una sorta di intervista postuma che “la
Lettura” ha pubblicato l’altro sabato, lo dice insieme con Sciascia “gli
epigoni moderni di Stendhal”. Una filiazione che lo avrebbe certamente lusingato
ma anche incuriosito: lui è tutto l’opposto di Stendhal, i suoi racconti sono
di testa, quasi geometrici.
L’estetica dei Puffi o la semiologia di Mike Bongiorno, di cui da
ultimo si scusava (“sono solo sei paginette”) mescolando all’indigesta
“joyciana” e all’incomprensibile Peirce, divaricazione che gli veniva
accademicamente rimproverata, ha dato un forte impulso, e anche nuova sostanza,
alla figura in declino dell’intellettuale – del maître à penser. La curiosità (attualità) mescolando alla ricerca, in
un quadro di giudizio non definitivo o sistematico, ma sicuramente ben
indirizzato. Per via dei saldi fondamenti e un giudizio aperto, non prevenuto.
Questa qualità intellettuale, su un’indole estroversa e impregnabile,
in cui molti ci identifichiamo, veniva spontanea collegarla alla comune
educazione dai salesiani. Senza fondamento, poiché Eco ha fatto gli studi
altrove. Ma il collegamento si è poi mostrato parzialmente fondato per via
dell’oratorio che Eco frequentava il pomeriggio, che è un’istituzione
salesiana, un luogo di socializzazione aperto: stare insieme (compartecipare) e
giocare nel senso di “rappresentare”. Derivata
da una pedagogia insieme semplice e sottile: uno studio – poco studio, q.b. –
che stimola l’intelligenza più che riempirla, che sa che c’è il sole quando c’è
il sole, e il comportamento modella sulla curiosità, delle cose e delle persone,
la competizione non reprimendo ma socializzando (sportività).
Cazzullo ora su “Sette” la collega alla piemontesità. Che in morte si
è dimenticata, ma è indubbia - “Eco era
di Alessandria come la famiglia di Bobbio, si è laureato a Torino, «Il nome
della rosa» è ambientato sulle Alpi marittime….”. Forse il rimando, inconscio,
è alla buona Italia, piemontese – anche se era un falso mito. Col senso della
misura – che poi si deve essere perso tra Torino e Roma, e quarant’anni fa tra
Torino e Milano, quando la città sabauda si arrese (Agnelli da Cuccia, etc.). .
Gadda – Un vitalista sotto
la poltronaggine da valetudinario di cui lo affliggono gli amici? Esibisce un
costante richiamo mortuario, accanto alla febbrile ingegnosa attività, nella
corrispondenza sempre, accampando malanni di salute, di vicinanza, di
parentela, inventati più che reali, e nei titoli, “Verso la Certosa”, “Tendo al
mio fine”, il “Trapassi” che doveva titolare la prefazione a Parise che poi non
fece. L’attivismo - malgrado le tante incompiute ha lasciato un corpus
sostanzioso - si spiega con questa ansia di fine precoce? La fine è precoce se
l’ansia è di vita, vitalistica.
Vittorio Emanuele III – Si
era certi in Francia allo scoppio della guerra che Vittorio Emanuele III non
avrebbe “tradito”. Lo ricorda anche la scrittrice Irène Némirovsky, nel romanzo
“I beni di questo mondo”, scritto nel 1941-42 in contemporanea col suo
capolavoro “Suite francese”: “Un grosso signore diceva ad alta voce che sapeva
da fonte sicura che «il re d’Italia avrebbe abdicato se il suo paese fosse
entrato in guerra». Gli altri scuotevano la testa. Il grosso signore disse
tutto serio: «Non mi stupisce da parte di Vittorio Emanuele. Ho sempre avuto
una grande stima di lui»”.
Perfino quando l’Italia attaccò la Francia ormai confitta, accanto
alla riprovazione, persisteva una sorta di fiducia oltralpe che la zona
d’occupazione italiana avrebbe avuto risparmiate le sofferenze inflitte
dall’occupazione tedesca.
Quella dell’ultimo re d’Italia, sulla quale pure governò per quasi
mezzo secolo, è una storia che non si scrive – a parte l’abbozzo biografico di
Mario Bondioli.
Yourcenar – Era di destra. Molto italianofila, anche, al tempo del fascismo.
Ha un ventennio, quasi, italiano – benché trascurato
nelle raccolte della corrispondenza, e in parte anche dalle biografie Per soggiorni, amicizie, influssi. Particolarmente
forte quello di Evola. Numerosi sono i suoi racconti di ambiente italiano. “Le dialogue dans
le marécage”, 1929, è una storia dialogata di Pia dei Tolomei, con – dirà lei
stessa nel 1971, alla riedizione – “un poco della sensualità diffusa ovunque da
D’Annunzio”. Nello stesso anno “Sixtine” evocava Michelangelo vecchio. Lo stesso
anno inizia, risiedendo in Italia, “Denaro del sogno”, sulla preparazione confusa
di un attentato antifascista, che pubblica nel 1934 – e poi riscriverà, nel
1959, evirandolo politicamente. “Italiane” sono naturalmente le “Memorie di
Adriano”, specie le ricerche su cui è fondato il racconto.
Con corrispondenti e amici italiani si è occupata a lungo di ricerche psichiche (occultismo, magnetismo), di alchimi e dei Rosacroce - di
Gandhi rimarcando l’ipocrisia della “santità”. Una passione che, combinata con quella per la storia (Campanella,
Erasmo, Leonardo, Paracelso, Serveto), la condurrà al tardo romanzo di Zenone,
1968, “L’opera al nero”.
Evola scrive di averlo incontrato tardi, per caso, in una libreria di Firenze nel 1952, comprando “Lo Yoga della potenza”. Da cui comunque resta folgorata: lo leggerà annotandolo freneticamente, tascrivendone una trentina di lunghi passaggi, specie dai capp. III e VII, “Presupposti dello yoga” e “Pancatattva – Il rituale segreto”, traducendoli, commentandoli, sotto il titolo “La poursuite de la sagesse”. In un articolo per “Le Monde” il 21 giugno 1972, “Ricette per l’arte del buon vivere” (poi ripreso col tiolo “Approches du tantrisme” in “Il Tempo, questo grande scultore”), si premura di dire che di Evola nel 1952 ignorava anche il nome – cosa non vera. Ma riconosce, “salvo qualche riserva”, di “avere acquisito una di quelle opere che per anni vi alimentano e, fino a un certo punto, vi trasformano”.
Evola scrive di averlo incontrato tardi, per caso, in una libreria di Firenze nel 1952, comprando “Lo Yoga della potenza”. Da cui comunque resta folgorata: lo leggerà annotandolo freneticamente, tascrivendone una trentina di lunghi passaggi, specie dai capp. III e VII, “Presupposti dello yoga” e “Pancatattva – Il rituale segreto”, traducendoli, commentandoli, sotto il titolo “La poursuite de la sagesse”. In un articolo per “Le Monde” il 21 giugno 1972, “Ricette per l’arte del buon vivere” (poi ripreso col tiolo “Approches du tantrisme” in “Il Tempo, questo grande scultore”), si premura di dire che di Evola nel 1952 ignorava anche il nome – cosa non vera. Ma riconosce, “salvo qualche riserva”, di “avere acquisito una di quelle opere che per anni vi alimentano e, fino a un certo punto, vi trasformano”.
Le sue biografie in realtà sono una, quella di Josyane Savigneau nel
1990. Yourcenar ha molti titoli di interesse, oltre a quelli letterari: la
prima donna accademica di Francia, la prima a trattare temi irsuti, come l’omosessualità
e l’incesto, la prima a professare una convivenza lesbica. Ma l’esercizio
biografico resta evidentemente arduo, forse perché fu politicamente scorretta. Fu
infatti di destra. Prima e anche dopo – in modo velato – dopo la guerra.
Non entra nel panteon maledetto della destra novecentesca, accanto alla
triade Céline-Pound-Hamsun, perché abiurò, si riscrisse in parte, e comunque
non lasciò tracce. E non fu antisemita: in nessuno suo scritto pubblicato si
rintraccia nessun accenno deprecativo, neanche per modo di dire, all’ebraismo
(ma anche Hamsun ne fu esente). I suoi corrispondenti degli anni del fascismo
in Italia ne hanno occultato le tracce. Riscrisse “Denaro di sogno” nel 1959
come “racconto semirealista, semisimbolico di un attentato antifascista a Roma
nell’anno XI (1933) della dittatura”. Ma la prima versione, pubblicata nel 1934, e
modellata – sicuramente il personaggio di Marcella - su persone che aveva frequentato a Roma, non
era antimussoliniana. I personaggi che la moneta scambiata collegavano a un
progetto di attentato erano inquieti e non militanti.
A Mathieu Galey, “Gli occhi aperti”, 1980, affermerà che i personaggi del racconto appartenevano a un “ambiente di militanti antifascisti, e mi comunicavano l’eccitazione e l’emozione del momento”. E che lei stessa aveva “una visione molto lucida dell’Italia”. Anzi, aggiunge, “il fascismo mi pareva grottesco”.Da subito, fin dalla marcia su Roma, cui le era capitato di assistere a Milano e Verona, in viaggio con il padre. Ma aveva nell’occasione deciso di stabilirsi in Italia. E il “Denaro di sogno” ha riscritto nel 1959, in senso politico contrario a quello del 1934, ha testimoniato il suo editore di allora André Fraigneau, di un antifascismo confuso e un po’ vuoto.
Ancora nell’estate del 1938 a Capri, separata provvisoriamente da
Grace Frick, Yourcenar scrisse in poco più di un mese “Colpo di grazia”, una
storia di turbamenti sentimentali - di omosessualità represse - ma in una
quadro politico preciso. I protagonisti, Eric von Lhomond, Conrad de Reval e
Sophie de Reval, fratello e sorella, sono partigiani anti-bolscevichi, Freikorp tedeschi contro l’invasione
bolscevica del Baltico. La giustezza della loro causa politica è la tela di
fondo della giustezza delle loro passioni amorose, anche se, agli occhi di
allora, “devianti” - Sophie è innamorata di Eric, il quale però ama Conrad.A Mathieu Galey, “Gli occhi aperti”, 1980, affermerà che i personaggi del racconto appartenevano a un “ambiente di militanti antifascisti, e mi comunicavano l’eccitazione e l’emozione del momento”. E che lei stessa aveva “una visione molto lucida dell’Italia”. Anzi, aggiunge, “il fascismo mi pareva grottesco”.Da subito, fin dalla marcia su Roma, cui le era capitato di assistere a Milano e Verona, in viaggio con il padre. Ma aveva nell’occasione deciso di stabilirsi in Italia. E il “Denaro di sogno” ha riscritto nel 1959, in senso politico contrario a quello del 1934, ha testimoniato il suo editore di allora André Fraigneau, di un antifascismo confuso e un po’ vuoto.
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