Calvino - Nelle sue favole
Sciascia dice – “Fine del carabiniere a cavallo” – che “non c’è la morale della
favola” ma c’è “la favola della morale”. Cioè? Era Cavino uno scherzosone? È una
stroncatura, amichevolmente ironica - amabilità tra letterati? A volte il re-censore dorme.
Classico - Nessuna memoria, commento critico, ermeneutica
distruggerà ciò che è certificato dalle generazioni che si susseguono, nota
Ruben Darìo in viaggio per l’Italia, tra le rovine: l’italiano cresce in
piazza fra ninfe e fontane d’artista.
Da qui il classico, che non è storia ma criterio di misura.
Il culto dei
classici va con la critica, solo coi morti il critico è libero - gli esegeti
con la Bibbia.
Colori-sapori – Si ritrovano ancora nelle mostre d’arte i linguaggi allusivi, residui
del mallarmeismo,.per cui le sculture, le pitture, i disegni, le forme, i
colori vengono trascritti con linguaggi di altre pertinenze (la flora, la fauna,
l’industria delle vernici), e di altri sensi che la vista. Gli stesi che usano
da qualche temo per i sapori: vini, alimenti, cucina. Gli chef, in genere gente
di mano e d’azione, e gli assaggiatori si celebrano e si nascondono col
linguaggio dei richiami. In genere oggi alla natura: la vegetazione, le
stagioni, le temperature.
Ebraismo – Come “demone
della decadenza umana” è, prima di Heidegger, di Wagner. La Germania ferma sta.
Goethe –
Gadda fa di Goethe, in nota alla “Adalgisa”, l’antesignano del “meccanismo
profondo (darwiniano, n.d.r.) della evoluzione biologica”. È errato, ma
corrisponde a Goethe.
Italia
– È per Stendhal, convintamente, ripetutamente, a ogni lettera, a ogni scritto,
terra di energia e di passioni. Che retrospettivamente sembra una falsa
impressione, ma in quegli anni, e ancora dopo, aveva ben consistenza: la passione
politica, rivoluzionaria per lo più, il peso riconosciuto alla letteratura, la
musica, l’arte, il Risorgimento nazionale. Un modo di essere che si può dire inalterato ancora per un secolo dopo
Stendhal. La scomparsa dell’Italia è recente. Opera degli italiani, ma in
quanto vittime del mito del Nord – che in altri tempi si sarebbe detto nebbioso,
e anche confuso.
Franco Buffoni la trova
divisa anche nella critica d’arte. A ragione. La beffa nel 1987 dei “Modì” a
Livorno, a opera dei tre ragazzi Pietro Luridiana, Pierfrancesco Ferrucci e
Michele Ghelarducci, fu alla città superrossa, che aveva organizzato la mostra
Modigliani tutta nel partito, come una cosa del Pci. Era del partito Comunista Vera
Durbé, curatrice della mostra, che si fece finanziare subito dal comune il dragaggio del canale
cove i Modì furono tempestivamente recuperati, ma palesemente falsi. Difesa contro
ogni evidenza da Argan e Brandi, del Pci, contro Federico Zeri, che invece denunciava
la burla.
Italia tedesca – Non solo Dante, tutti gli italiani illustri furono tedeschi
un secolo fa, secondo “I Germani in Italia”, di Ludwig Woltmann – autore anche
di un “I Germani in Francia”. Woltmann (1871-1907) fu nella sua breve vita
antropologo stimato e prolifico. Sulla premessa che, per tutti i popoli, “il
loro valore di civiltà dipende dalla quantità di razza bionda che essi
contengono”, annesse alla Germania il Mediterraneo: i biondi Eraclidi,
fondatori di Sparta, Roma (cominciò a decadere con la penuria di uomini biondi:
la tesi del protogermanista Tacito - che però Woltmann non si annett, uno dei
pochi), e il Rinascimento. Nomi germanici sono Dante Alighieri (Aigler),
Boccaccio (Buchatz), Leonardo da Vinci (Winke), Buonarroti (Bahnrodt), Tasso
(Dasse) e molti altri, fino a Benso di Cavour (Benz), e a Garibaldi (Kerpolt).
Del “tipo biondo” sono Dante, Giotto, Donatello, Leonardo, Colombo e altri.
Novecento
– Capisaldi del Novecento italiano saranno stati la storia di una seconda casa,
un giallo irrisolto, un fumatore incallito, e le avventure di un bambino
cresciuto in un giardino botanico. Ghirigori. In un secolo tremendo.
Pasolini
– Vittima del pasolinismo in queste celebrazioni dei quarant’anni della morte. Che
lo fa grigio, e quasi stinto. Per i tanti libri, e ora qualche film, che ne
romanzano (falsano) la morte. Da ultimo con la ripresa del “Vantone”, il “Miles
gloriosus” di Plauto. Che non è Plauto, e nemmeno probabilmente Pasolini – uno lo
spera. Una farsa trasformata in commedia di costumi, arcigna.
A fine stagione 1963-1964
un’anteprima del “Vantone” alla Pergola di Firenze faceva letteralmente crollare
il teatro, dal ridere. Una
“serata di teatro” quale si favoleggia negli annali, che lasciò gli stessi
attori accasciati sul proscenio dalle risate, incapaci di finire le battute. Attori
navigati della Compagnia dei
Quattro, Valeria Moriconi e Glauco Mauri
– con Emanuele Luzzati, scenografo, e il regista Franco Enriquez.
Ma è vero che lui stesso non
apprezzo i Quattro, che pure gli avevano commissionato la versione e la
portarono al successo, perché Moriconi e Mauri erano marchigiani e quindi non borgatari
romani. E dunque non c’è rimedio?
Grande filologo
sarebbe stato, di potenza, disinvolto, disincantato. E favolista al modo di Boccaccio,
Chaucer e le Mille e una notte, o
degli amati sconvenienti borgatari. Ne fece una parentesi, e fu poeta
sentimentale - il poeta è incinto di se stesso. Sembrava si divertisse,
nelle marane coi pischelli e le periferie, ma è in posa, sempre allo specChio.
Si vede dalla foto in giacca e cravatta sul campo di calcio, il tackle perfetto secondo i canoni del “Calcio illustrato”, coi ragazzini sporchi
nella fanga. Mentre nel fotoservizio per “l’Espresso” è in maglietta e
calzoncini d’ordinanza, calzettoni, parastinchi, scarpini lucidi coi tacchetti
bianchi, i capelli ordinati, imbrillantinati - il Muccinelli de noantri,
la repubblica delle lettere si vuole romanesca, il Mariolino Corso perfetto.
Imbalsamato nell’impegno politico, che è l’unica cosa che non sapeva e non
sentiva, e lo rendeva nervoso.
Grande tragedia Pasolini avrebbe potuto farne, di quello che è e non
è, con i mezzi che aveva. O commedia: è Aristofane, l’“Eautontimorùmenos”, è
più forse di Plauto, il “Miles gloriosus”. Traduttore di Eschilo superbo, la
sua “Orestiade” è un’altra. E di Edipo grande filologo, oltre che pittore, non
c’è altra Grecia.
Stupidità
– Non esiste, dice Büchner, ma in questo modo: “Non è in potere di nessuno non
divenire uno stupido”. Oppure: “Posso dire che uno è stupido senza per questo
disprezzarlo, la stupidità appartiene alle qualità generali delle cose umane”.
letterautore@antiit.eu
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