giovedì 17 marzo 2016

Letture - 250

letterautore

Calvino - Nelle sue favole Sciascia dice – “Fine del carabiniere a cavallo” – che “non c’è la morale della favola” ma c’è “la favola della morale”. Cioè? Era Cavino uno scherzosone? È una stroncatura, amichevolmente ironica - amabilità tra letterati? A volte il re-censore dorme.

Classico - Nessuna memoria, commento critico, ermeneutica distruggerà ciò che è certificato dalle generazioni che si susseguono, nota Ruben Darìo in viaggio per l’Italia, tra le rovine: l’italiano cresce in piazza fra ninfe e fontane d’artista. Da qui il classico, che non è storia ma criterio di misura.
Il culto dei classici va con la critica, solo coi morti il critico è libero - gli esegeti con la Bibbia.

Colori-sapori – Si ritrovano ancora nelle mostre d’arte i linguaggi allusivi, residui del mallarmeismo,.per cui le sculture, le pitture, i disegni, le forme, i colori vengono trascritti con linguaggi di altre pertinenze (la flora, la fauna, l’industria delle vernici), e di altri sensi che la vista. Gli stesi che usano da qualche temo per i sapori: vini, alimenti, cucina. Gli chef, in genere gente di mano e d’azione, e gli assaggiatori si celebrano e si nascondono col linguaggio dei richiami. In genere oggi alla natura: la vegetazione, le stagioni, le temperature.

Ebraismo – Come “demone della decadenza umana” è, prima di Heidegger, di Wagner. La Germania ferma sta.

Goethe – Gadda fa di Goethe, in nota alla “Adalgisa”, l’antesignano del “meccanismo profondo (darwiniano, n.d.r.) della evoluzione biologica”. È errato, ma corrisponde a Goethe.

Italia – È per Stendhal, convintamente, ripetutamente, a ogni lettera, a ogni scritto, terra di energia e di passioni. Che retrospettivamente sembra una falsa impressione, ma in quegli anni, e ancora dopo, aveva ben consistenza: la passione politica, rivoluzionaria per lo più, il peso riconosciuto alla letteratura, la musica, l’arte, il Risorgimento nazionale. Un modo di essere che si  può dire inalterato ancora per un secolo dopo Stendhal. La scomparsa dell’Italia è recente. Opera degli italiani, ma in quanto vittime del mito del Nord – che in altri tempi si sarebbe detto nebbioso, e anche confuso.  

Franco Buffoni la trova divisa anche nella critica d’arte. A ragione. La beffa nel 1987 dei “Modì” a Livorno, a opera dei tre ragazzi Pietro Luridiana, Pierfrancesco Ferrucci e Michele Ghelarducci, fu alla città superrossa, che aveva organizzato la mostra Modigliani tutta nel partito, come una cosa del Pci. Era del partito Comunista Vera Durbé, curatrice della mostra, che si fece finanziare  subito dal comune il dragaggio del canale cove i Modì furono tempestivamente recuperati, ma palesemente falsi. Difesa contro ogni evidenza da Argan e Brandi, del Pci, contro Federico Zeri, che invece denunciava la burla.

Italia tedesca – Non solo Dante, tutti gli italiani illustri furono tedeschi un secolo fa, secondo “I Germani in Italia”, di Ludwig Woltmann – autore anche di un “I Germani in Francia”. Woltmann (1871-1907) fu nella sua breve vita antropologo stimato e prolifico. Sulla premessa che, per tutti i popoli, “il loro valore di civiltà dipende dalla quantità di razza bionda che essi contengono”, annesse alla Germania il Mediterraneo: i biondi Eraclidi, fondatori di Sparta, Roma (cominciò a decadere con la penuria di uomini biondi: la tesi del protogermanista Tacito - che però Woltmann non si annett, uno dei pochi), e il Rinascimento. Nomi germanici sono Dante Alighieri (Aigler), Boccaccio (Buchatz), Leonardo da Vinci (Winke), Buonarroti (Bahnrodt), Tasso (Dasse) e molti altri, fino a Benso di Cavour (Benz), e a Garibaldi (Kerpolt). Del “tipo biondo” sono Dante, Giotto, Donatello, Leonardo, Colombo e altri.

Novecento – Capisaldi del Novecento italiano saranno stati la storia di una seconda casa, un giallo irrisolto, un fumatore incallito, e le avventure di un bambino cresciuto in un giardino botanico. Ghirigori. In un secolo tremendo.

Pasolini – Vittima del pasolinismo in queste celebrazioni dei quarant’anni della morte. Che lo fa grigio, e quasi stinto. Per i tanti libri, e ora qualche film, che ne romanzano (falsano) la morte. Da ultimo con la ripresa del “Vantone”, il “Miles gloriosus” di Plauto. Che non è Plauto, e nemmeno probabilmente Pasolini – uno lo spera. Una farsa trasformata in commedia di costumi, arcigna.
A fine stagione 1963-1964 un’anteprima del “Vantone” alla Pergola di Firenze faceva letteralmente crollare il teatro, dal ridere. Una “serata di teatro” quale si favoleggia negli annali, che lasciò gli stessi attori accasciati sul proscenio dalle risate, incapaci di finire le battute. Attori navigati della Compagnia dei Quattro,  Valeria Moriconi e Glauco Mauri – con Emanuele Luzzati, scenografo, e il regista Franco Enriquez.
Ma è vero che lui stesso non apprezzo i Quattro, che pure gli avevano commissionato la versione e la portarono al successo, perché Moriconi e Mauri erano marchigiani e quindi non borgatari romani. E dunque non c’è rimedio?

Grande filologo sarebbe stato, di potenza, disinvolto, disincantato. E favolista al modo di Boccaccio, Chaucer e le Mille e una notte, o degli amati sconvenienti borgatari. Ne fece una parentesi, e fu poeta sentimentale - il poeta è incinto di se stesso. Sembrava si divertisse, nelle marane coi pischelli e le periferie, ma è in posa, sempre allo specChio. Si vede dalla foto in giacca e cravatta sul campo di calcio, il tackle perfetto secondo i canoni del “Calcio illustrato”, coi ragazzini sporchi nella fanga. Mentre nel fotoservizio per “l’Espresso” è in maglietta e calzoncini d’ordinanza, calzettoni, parastinchi, scarpini lucidi coi tacchetti bianchi, i capelli ordinati, imbrillantinati - il Muccinelli de noantri, la repubblica delle lettere si vuole romanesca, il Mariolino Corso perfetto. Imbalsamato nell’impegno politico, che è l’unica cosa che non sapeva e non sentiva, e lo rendeva nervoso.

Grande tragedia Pasolini avrebbe potuto farne, di quello che è e non è, con i mezzi che aveva. O commedia: è Aristofane, l’“Eautontimorùmenos”, è più forse di Plauto, il “Miles gloriosus”. Traduttore di Eschilo superbo, la sua “Orestiade” è un’altra. E di Edipo grande filologo, oltre che pittore, non c’è altra Grecia. 

Stupidità – Non esiste, dice Büchner, ma in questo modo: “Non è in potere di nessuno non divenire uno stupido”. Oppure: “Posso dire che uno è stupido senza per questo disprezzarlo, la stupidità appartiene alle qualità generali delle cose umane”.

letterautore@antiit.eu

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