Un concentrato della passione per l’Italia, “terra di
passioni”. Un’operina ripescata un secolo dopo la morte, di poca consistenza,
ma sì per queste professione di fede. Una delle prime di Stendhal, scritta
rapidamente subito dopo “Roma, Napoli e Firenze nel 1817”, che è la sua prima
opera firmata Stendhal, e la prima di suo pungo – dopo gli scopiazzamenti: le
vite musicali da Girolamo Carpani, firmate “Bombet”, e la “Storia della pittura
in Italia”, uscita anonima nello stesso 1817. Scrisse “L’Italia nel
1818” in risposta alla recensione della “Edinburgh Review”, l’unica apparsa di
“Roma, Napoli e Firenze”, un debutto da cui tanto si attendeva, ma critica, e
anzi irridente: lo scrittore, “quel vero parigino che è il barone de Stendhal”,
l’anonimo recensore accusava di flippancy, “frivolezza”.
L’ironia della “Edinburgh Review” non smontò Stendhal
- “Je suis tout Edinburg Review”, scrisse subito dopo all’amico
Adolphe de Mareste, funzionario della prefettura a Parigi. Anzi, lo spinse a
“riscrivere” il libro sull’Italia, in realtà a farci un’aggiunta, trovandone le
radici nel Medio Evo. Sempre di quella “energia”, “passione”, “furia” che lo
incantavano ed erano per lui l’Italia – magari lo erano: “Come diamine non
essere energici con il sole e le ricchezze d’Italia, e quattro secoli di questi
leggiadri governi” – leggiadri, cioè violenti. È “delizioso” pure “il godimento
del potere”, nelle città italiane che trova “divorate dalla fiamma delle
passioni”. Nonché le lotte costanti, anche fratricide, anche traditrici. E il
ribellismo sconfinato, fino all’assassinio – “quando la giustizia è l’arma del
più forte, una crudele derisione, l’uomo ritorna allo stato di natura,
l’assassinio ridiventa un diritto”. È la celebrazione più determinata
dell’Italia, senza se e senza ma.
La “Edinburgh Review” è parte in causa anche perché
alimentava la passione romantica del futuro Stendhal, mediandogliene gli estri
angloscozzesi e germanici. Una passione letteraria che il neo milanese di
adozione Beyle trasfigurava in esistenziale. Per gli amori infelici e per la temperie
culturale della capitale lombarda, tra Foscolo e Manzoni, con Ludovico di
Breme, Monti, Byron, Berchet, Pellico. Di cui l’anno dopo scriveva
all’amico-editore Crozet a Parigi: “Il furore del romanticismo occupa qui tutte
le teste; ben strane teste, a quattromila leghe dalle francesi. Gli
Italiani non devono nessuna delle loro idee ai libri. Che energia, che furore,
quale vita”.
Stendhal, L’Italia
nel 1818, Aragno, pp. 192 € 15
Nessun commento:
Posta un commento