mercoledì 9 marzo 2016

L’Italia era energia, passione e vita

Un concentrato della passione per l’Italia, “terra di passioni”. Un’operina ripescata un secolo dopo la morte, di poca consistenza, ma sì per queste professione di fede. Una delle prime di Stendhal, scritta rapidamente subito dopo “Roma, Napoli e Firenze nel 1817”, che è la sua prima opera firmata Stendhal, e la prima di suo pungo – dopo gli scopiazzamenti: le vite musicali da Girolamo Carpani, firmate “Bombet”, e la “Storia della pittura in Italia”, uscita anonima nello stesso 1817.  Scrisse “L’Italia nel 1818” in risposta alla recensione della “Edinburgh Review”, l’unica apparsa di “Roma, Napoli e Firenze”, un debutto da cui tanto si attendeva, ma critica, e anzi irridente: lo scrittore, “quel vero parigino che è il barone de Stendhal”, l’anonimo recensore accusava di flippancy, “frivolezza”.
L’ironia della “Edinburgh Review” non smontò Stendhal - “Je suis tout Edinburg Review”, scrisse subito dopo all’amico Adolphe de Mareste, funzionario della prefettura a Parigi. Anzi, lo spinse a “riscrivere” il libro sull’Italia, in realtà a farci un’aggiunta, trovandone le radici nel Medio Evo. Sempre di quella “energia”, “passione”, “furia” che lo incantavano ed erano per lui l’Italia – magari lo erano: “Come diamine non essere energici con il sole e le ricchezze d’Italia, e quattro secoli di questi leggiadri governi” – leggiadri, cioè violenti. È “delizioso” pure “il godimento del potere”, nelle città italiane che trova “divorate dalla fiamma delle passioni”. Nonché le lotte costanti, anche fratricide, anche traditrici. E il ribellismo sconfinato, fino all’assassinio – “quando la giustizia è l’arma del più forte, una crudele derisione, l’uomo ritorna allo stato di natura, l’assassinio ridiventa un diritto”.  È la celebrazione più determinata dell’Italia, senza se e senza ma.
La “Edinburgh Review” è parte in causa anche perché alimentava la passione romantica del futuro Stendhal, mediandogliene gli estri angloscozzesi e germanici. Una passione letteraria che il neo milanese di adozione Beyle trasfigurava in esistenziale. Per gli amori infelici e per la temperie culturale della capitale lombarda, tra Foscolo e Manzoni, con Ludovico di Breme, Monti, Byron, Berchet, Pellico. Di cui l’anno dopo scriveva all’amico-editore Crozet a Parigi: “Il furore del romanticismo occupa qui tutte le teste; ben  strane teste, a quattromila leghe dalle francesi. Gli Italiani non devono nessuna delle loro idee ai libri. Che energia, che furore, quale vita”.  
Stendhal, L’Italia nel 1818, Aragno, pp. 192 € 15

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