lunedì 21 marzo 2016

Secondi pensieri - 255

zeulig

Esibizionismo – L’artista è un esibizionista. Anche l’artigiano, fino a un certo punto. E il manager. Il santo di più: se non è esibizionista non è esemplare, come la santità si vuole. E dunque una virtù?.

Luce – Messa al centro della liturgia cattolica da Giovani Paolo II (dal Concilio Vaticano II) e professata specialmente dal papa Francesco, è al centro della spiritualità razziale ariana per il conte de Gobineau: “il concetto di luce, di splendore”, nella sintesi critica che ne fa Evola. Gli dei ariani di Gobineau sono “nella più stretta relazione col principio intellettuale”, dell’intelletto “creatore e dominatore”: “Gli dei ariani sono essenzialmente divinità della luce, dello splendore solare, del cielo luminoso, del giorno. Dalla radice du, che vuol dire illuminare, sarebbe derivato il nome degli dei nazionali più significativi delle sottospecie della razza: il deva e il dyaus degli Indù, il Deus dei Latini, lo Zeus  degli Elleni, il Dusgallico, il Tyr nordico, il Tiuz dei Tedeschi antichi, il Devana degli Slavi”.  

Nietzsche – Avversava gli antisemiti -  anche per questo infine Wagner. E in generale il razzismo. Ma ne pone le fondamenta, seppure al suo modo, asistematico e anzi disomogeneo. Resta biologica la sua “religione della vita”, avalutativa e intrascendente. L’“inversione di tutti i valori” è la castrazione della sua “vita”. A opera dello spirito, contro l’istinto, la “forza vitale”. Dei “valori della decadenza”, cristianesimo compreso,  e del “risentimento”, a opera degli schiavi, i deboli, i reietti della natura. Per un moto aristocratico, forse, condito dalla religione a lui contemporanea della “natura”, ma il suo Superuomo è alla fine la bestia bionda conquistatrice.

Opinione pubblica – È la “volontà generale” di Rousseau – il lato oscuro della cosa.

Prova  - È evidence in inglese. Uno dei falsi amici linguistici, poiché la prova non è evidente. Va sempre trovata (scovata), e quando appare “evidente” resta da decifrare – quando non da individuare nella sua stessa “evidenza”, come la “lettera aperta” di Poe.

Religione – È sempre sacrificio, anche se ora simbolico. In tutte le forme testimoniate. Sacrificio altrui: l’officiante, dovendo testimoniare, sopravvive. Ma senza ironia: la divinità è sempre temuta, una entità che va propiziata. 
È il fondo portato in chiaro da Girard. Ma è in questo quadro l’attrattiva (rivoluzione) del cristianesimo, il fatto che introduce un’altra dimensione. Il sacrificio di sé, anzitutto, e non altrui. E come segno non di paura ma di amore. E nello stesso tempo rende conto del significato tradizionale della religione, nelle intemperanze tra Padre e Figlio, e anzi nella rivolta del Figlio nei confronti del Padre – della Legge, della Tradizione.

Carnalità e religiosità vanno di pari passo, anch’essi, nell’esperienza storica. Anche nei soggetti più avulsi, si penserebbe, dai sensi; i santi e, più ancora, le sante.

Tradizione - I fedeli sostengono che la storia vanifica la lezione del passato, che la tradizione invece illumina. Sì, il passato, anche remoto, non trapassa. “Chi non è quello che fu\ fa poesia”, insiste Mary De Rachewiltz. Una cosa che non è pura, il passato contiene tutto, compresi gli errori, e vergognose lacune - questo sapeva già Gobineau, “Sull’ineguaglianza”, il tradizionalista vittima di Wagner e dei wagneristi. Il passato tende all’arteriosclerosi, privilegia le cose vecchie, le vicine le rimuove. Donde l’esigenza d’interpretare la tradizione: alleviare il peso del passato, non lieve a giudicare dalla lentezza dei progressi, è l’unico modo per esorcizzarlo. Il passato è la nostra essenza, non perché millenario, ma perché cerebrale, folle, duro.
La stessa poesia diventa reale col fluire dei secoli. Con “l’oscuro sentimento” che Fichte depreca, il costruttore della nazione e del sociale. La favola s’incarna nella tradizione, che si alimenta del sangue del popolo. Dai tempi di Herder la tradizione, è “disseminata” sulla terra, come la ragione – Herder che, diceva, “non sono che un’onda sul mare della storia”.
La tradizione è dove si esercita la libertà. È la tradizione che ispira il mutamento. Un meccanico la direbbe l’albero di trasmissione. L’odio della tecnica è malposto, perché ne tocca il motore, l’innovazione, e non il presupposto, che può essere giusto e sbagliato. L’innovazione produce solo frutti, il problema è una modernità piatta. Senza radici sarebbe mera ripetizione, sia pure consolante, che quindi sa di morto.

È cultura della decadenza, il culto del passato, di rovine, morti. Dell’Occidente impaziente col passato, che così si vendica. Dappertutto altrove invecchia e muore la natura, non la cultura, la memoria della sto-ria. È l’effetto del movimento a freccia, che il bersaglio intermedio sia fallito o centrato - l’Occidente è un arciere che va di corsa, e a volte vede e capisce poco, mentre bisogna portare pazienza.
Se la tradizione rendesse accessibile tutta la realtà d’un tempo non ci sarebbe d’altronde più storia: sarebbe un bene? “E può succedere”, Heidegger avverte, “che storia e tradizione vengano appiattite a magazzino indistinto d’informazioni, utili per l’inevitabile pianificazione di cui l’umanità pilotata ha bisogno”. Pilotata, e da chi? L’arpa tripla, lo strumento che caratterizza la musica in Galles, è versione dell’arpa barocca italiana, adattata dall’arpista della regina Anna, Elias Sion Siamas. Il pilota potrebbe essere il maestro Siamas, la regina Anna, o lo stesso Galles.

La modernità è antica, direbbe un Oscar Wilde. Ma è pure vero che la storia senza la modernità sarebbe un mondo di pizzichi. La modernizzazione è insensata dove la ricchezza è la tradizione, lo sradicamento va bene per gli sradicati. Ma non è detto: la scienza ha bisogno d’una tradizione per determinarsi, per capirsi. Anche se alcuni nascono in una caverna migliore di altre.

La storia esiste, ma ogni linguaggio e ogni storia, insegna Gadamer, è colloquio con la tradizione. Che è l’essenza dell’interpretazione. E quindi della verità. Un passato non è mai dato, Huizinga insegna, solo la tradizione è data. Vale dunque il precetto di Paratore, che il rettore Taubes da sinistra diede a Rudi Dutschke, d’imparare il latino.

Verità Il documento stesso è una menzogna, argomenta Le Goff:  “Si dimentica che la sua verità è quasi tutta nelle sue intenzioni”. La verità, nella Bibbia, era la voce di Dio, proprio in senso acustico, quello che si dice. Dio si nasconde, nel roveto ardente perfino sotto la formula evoluzionista: “Io sarò quello che sarò”. Ma se il mondo è creato qualcosa di divino ci dev’essere rimasto, imperscrutabile, nell'uno e nell’altro senso, del sapere e non sapere, e del sapere di non sapere.
Nietzsche filologo ne ha intuito il meccanismo – della verità, ma è come dire della tradizione – nell’appunto su verità e menzogna dettato al barone von Gersdorff, ciambellano di Prussia, poi non pubblicato: “Cos’è dunque la verità? Un mobile esercito di metafore, metonimie, antropomorfismi, in breve una somma di relazioni umane che sono state potenziate poeticamente e retoricamente, che sono state trasferite e abbellite, e dopo un lungo uso sembrano a un popolo solide e vincolanti”.

zeulig@antiit.eu

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