lunedì 4 aprile 2016

A Sud del Sud - Il Sud visto da sotto (281)

Giuseppe Leuzzi

Nel “Convivio“ di Dante Federico II di Svevia, lo stupor mundi di Palermo e dintorni, è “vento di Soave”. Herta Müller, “La paura che non può morire”, ricorda i suoi “cosiddetti conterranei del Banato” svevo, in Romania, nazisti ancora “nel 1969 e nel 1970, e pure negli anni successivi”. Il Nord trasposto a Sud sarebbe stato migliore?

Che possiamo farci noi?, sembra dire il presidente (ex) del Parco dell’Arcipelago Toscano, Mario Tozzi, sentito sull’erosione delle coste toscane, la più profonda e più ampia in Italia: “La mia Toscana è in buona compagnia”, si difende, “si pensi a cosa accade in Calabria o sul litorale romano”. Dove però l’erosione è molto più contenuta: Tozzi vuole solo dire che la Toscana è e resta migliore – vuoi mettere la Toscana con la Calabria?.

Amare la bellezza
Simone Weil, “Forme dell’amore implicito di Dio”: “La tendenza naturale dell’anima di amare la bellezza è la trappola più frequente di cui si serve Dio per aprirla al soffio che viene dall’alto. È la trappola in cui cadde Core. Al profumo dei narcisi sorridevano tutta la terra, la volta del cielo e il turgido mare. Appena la povera ragazza tese la mano, fu presa al laccio. Era caduta nelle mani del Dio vivente. Quando ne uscì, aveva mangiato il chicco della melagrana che la legava per sempre. Non era più vergine; era la sposa di Dio”.
“Amare la bellezza”? Bova ancora festeggia Core, la ragazza, di nome Persefone. La domenica delle Palme, con le “Persefoni”: una processione di grandi figure femminili di rami d’ulivo intrecciati, su telai di canne, punteggiate di fiori, e dei gialli e rossi degli agrumi – Bova, ricca di ulivi come tutta la Calabria, nutre agrumi portentosi. Core-Persefone è peraltro presente tutto l’anno: un comitato cittadino a Locri prepara la petizione, che una delegazione porterà biennalmente a Berlino, dove non viene ricevuta, per chiedere la restituzione della grande statua che è l’attrazione dell’Altes Museum, il museo antiquario della capitale tedesca, e ripristinare l’antico luogo di culto. Una statua gigante, di grande interesse anche per la simbologia, la mitologia, la linguistica. Fu tagliata a pezzi e trafugata dalla località La Moschetta (mesquita) nel 1911 da trafficanti tedeschi. Che poi la vendettero allo Stato Prussiano a caro prezzo. Legalmente, si dice, allora si potevano “esportare” i beni culturali, seppure non a pezzi e di nascosto. Ma in contanti: il museo berlinese non ha alcuna pezza giustificativa dell’acquisto.
Corrado Alvaro racconta il trafugamento in “Mastrangelina”.

L’anima del Sud è femminile
Nel “Quaderno X”, Simone Weil si interroga: “Se Core (Persefone) rappresenta veramente il chicco di grano, è una figura del Cristo”.  Core e Demetra, sua madre, sono le divinità della colonia greca di Locri, e delle sue tante sottocolonie, in Calabria sui due mari e fino al golfo di Taranto – Bova, sulla punta della Calabria, ancora celebre le “Persefoni” a Pasqua.
Core poi la filosofa accosta, nello stesso “Quaderno”, alle altre prefigurazioni del Cristo, Prometeo e Dioniso: “Le Oceanine sono compagne di Core come di Prometeo. Core è rapita nella pianura di Nisa, dove fu rapito Dioniso”. Nonché a Osiride, per l’equivalenza-discendenza che stabilisce fra i misteri egiziani e quelli greci e cristiani, uniti nella Passione, la Passione di Dio: “La Passione di Dio era l’oggetto stesso dei misteri egizi, e così pure dei misteri greci, in cui Dioniso e Persefone sono il corrispettivo di Osiride”. E ancora: “Tutte le divinità morte e resuscitate impersonate dal greco, Persefone, Atti, ecc., sono immagini del Cristo, e il Cristo ha riconosciuto questa somiglianza attraverso l’espressione: «Se il grano non muore… ». Ha fatto la stessa cosa rispetto a Dioniso dicendo: «Io sono la vera vite», e ponendo l’intera propria vita pubblica sotto il segno di due trasformazioni miracolose, una dell’acqua in vino, e l’altra del vino in sangue”.
Da Core viene generato Zagreo – “zangrei” sono tuttora in grecanico i pastori: “Zeus è diventato drago per generare Zagreo da Core mediante un bacio”.

Il battesimo del sangue, di toro
Si allarga la simbologia e al toponomastica del toro nella Piana del Medma, oggi Piana di Gioia Tauro – vedi

Fino a Tropea, all’attuale Capo Vaticano, in antico Taurinum Promontorium.  
Luigi M. Lombardi Satriani ne accosta in “De sanguine” il culto alla dea Cibele, “la Grande Madre frigia”. Che non  è attestato nella Magna Grecia, ma sì forse in quello dei Demetra, che invece vi fu diffusissimo, sebbene in forme non più cruente, cerealicolo e non sanguinario. “Il rituale di iniziazione ai suoi misteri”, di Cibele, scrive il decano degli antropologi italiani, consisteva nel taurobolium o battesimo del sangue di toro”. Un rito tramandato da Prudenzio, il prolisso poeta della tarda latinità, quindi ancora attivo nel IV e V secolo d.C.. “Secondo Prudenzio, che disprezzava il culto”, sintetizza Lombardi Satriani, “l’adepto doveva essere rigenerato dal sangue del toro sacrificato, e in tal modo sentirsi ai sacri misteri renatus”. Ciò si faceva “per “la purificazione dell’iniziato e la sua rinascita a nuova vita”. Il rito poteva venire rinnovato, ogni venti anni. Ma di alcuni si voleva che fossero “in aeternum renati”, una volta per sempre. Un variante era il criobolium, un battesimo col sangue di montone.
L’iniziato rinato, cioè dopo l’effusione del sangue, veniva nutrito col latte. La commistione dunque era già in atto tra riti cruenti e riti naturali, stagionali.
Tra i tanti sviluppi del taurobolium l’antropologo mette anche la pratica cristiana del battesimo, il lavacro attraverso un liquido.

Sudismi\sadismi
Arrestano un algerino dell’Is a Bellizzi, in provincia di Salerno, dove “si è rifugiato”, ricercato dalla polizia belga, e Marco Demarco del “Corriere della sera-Napoli (“Corriere del Mezzogiorno”) ci scopre oggi una serie di ignominie. Non che Bellizzi sia Molenbeek, no, anzi è un esempio di convivenza, gli immigrati convivono con i locali, negli stessi palazzi, sullo stesso pianerottolo. Il cognato dell’arrestato è anzi un imam facente funzioni, cioè uno che sa leggere – e non difende il cognato, anzi. Non che al Sud ci siano ghetti, no. E nemmeno sfruttamento, a ben guardare. Anche se gli immigrati nel salernitano, che quarant’anni fa erano un centinaio, ora sono 45 mila. E tuttavia Demarco ci scopre “tante piccole Molenbeek sulla Salerno-Reggio Calabria”. Non tante, due. In due remote località vicino Eboli, una a Campolongo e una a Tavernanova. A Tavernaona stanno “ammassati” – cosa inaudita - in una fabbrica conserviera abbandonata, la Mellone. A Campolongo in affitto in villette.

“Un tempo”, scrive Demarco, “queste erano villette per i turisti, con il mare che si nasconde dietro la pineta che Mussolini fece piantare al tempo delle grandi bonifiche”. La colpa è di Mussolini, non doveva piantare le pinete? Non doveva fare le grandi bonifiche? O le villette non andavano affittate?

“Le ex villette per turisti divenute dormitorio per braccianti: costano 400 euro al mese”, denuncia il  “Corriere della sera”.  È troppo o è poco?

Per la verità, Demarco precisa, la Salerno-Reggio Calabria di cui si parla non è l’autostrada ma la Statale 18 - altrimenti gloriosa. Ma senza autostrada non c’è fumo.

E poi la Salerno-Reggio non c’entra, nemmeno sotto forma di Statale: Tavernanova è una strada alla periferia di Eboli, che non sta sulla Statale, e Campolongo è Marina di Eboli, sul mare. Ma, certo, il diavolo è unitario.

Marco Demarco è giornalista di solito attento. Ma che ha fatto di male il Sud per meritarsi Napoli?

leuzzi@antiit.eu

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