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venerdì 29 aprile 2016

A Sud del Sud (284)

Giuseppe Leuzzi

Sabato al Sud per Renzi, da Roma a Reggio Calabria, Palermo e Catania, con rientro a Firenze. Tra andirivieni dagli aeroporti, decolli e atterraggi, quanti minuti gli resteranno per parlare di cose serie? Avrebbe fatto la stessa tournée tra, poniamo, Venezia, Torino e Varese, o Bergamo?

La protezione: il supermeccanismo supermafioso, buono anche per la Forza Pubblica, si chiama protezione. Per la Forza Pubblica o apparato repressivo (giudici, polizie) è politica e economica, per la mafia è economica: significa che di ogni buon affare vuole una parte. Solo questo. Allargando l’obiettivo al concorso esterno in associazione di tipo mafioso si colpiscono di più le mafie, oppure di meno?

Il tradimento delle borghesie compradore
Nel 1862 una commissione d’inchiesta sul brigantaggio, presieduta dal moderato lombardo Antonio Mosca, sostenne che il brigantaggio aveva valenza soprattutto sociale: una reazione ai soprusi delle locali borghesie agrarie, che l’unità aveva irrobustito, per le primissime sue leggi, intese a favorirle,  e per i meriti patriottici rivendicati, anche se presunti, con l’appropriazione dei beni comuni, e di quelli ecclesiastici, che invece da secoli erano in conduzione ai coltivatori. La diagnosi non piacque e la relazione fu secretata. A fine anno, il nuovo governo torinese, presieduto da Urbano Rattazzi, succeduto al barone Ricasoli, istituì una vera e propria Commissione d’inchiesta sul brigantaggio.
La relazione Mosca non era piaciuta perché chiamava in causa, con le nuove borghesie meridionali, i loro rappresentanti in Parlamento. Molti dei quali erano della Sinistra, peraltro, e molti meridionali, vecchi emigrati prima dei Mille. La nuova inchiesta fu voluta dalla Sinistra. Per allontanare i dubbi del rapporto Mosca, e per indagare i torti inflitti ai contadini, il perché molti di loro avevano preso le armi, per una sconfitta certa.
Della Commissione, nove membri, fecero parte noti garibaldini: Aurelio Saffi (Forlì), Nino Bixio (Genova) e Giuseppe Sirtori (Milano). Con un altro ligure, Stefano Castagnola, e cinque meridionali: Stefano Romeo (Reggio Calabria), Achille Argentino (Melfi), Antonio Ciccone (Nola), Donato Morelli (Cosenza), Giuseppe Massari (Bari). Quest’ultimo, il più giovane, fu incaricato di redigere la relazione.
I nove s’imbarcarono il 7 gennaio 1863 a Genova, giunsero a Napoli tre giorni dopo, vi restarono due settimane, quindi, con grande scorta armata, si misero in marcia verso il Foggiano. Bixio ne fu disgustato: “Davvero mi fa schifo tutto quello che vedo in questo paese!”, scrisse alla moglie, “Che paesi!  Si potrebbero chiamare dei veri porcili!”, “Questo popolo in massa è almeno tre secoli indietro rispetto al nostro”. La moglie di Saffi ebbe invece dal marito lettere coloristiche, e anche ammirate.
Bixio lascerà dopo poco la politica, per tornare in mare – finirà in Malesia, per morirvi di febbre gialla, nel 1873. Ma non prima di avere avuto soddisfazione dalla relazione del tarantino Massari. Giordano Bruno Guerri (“Il sangue del Sud”) estrapola dalla relazione del parlamentare pugliese mezza pagina di epiteti infamanti – “l’intera inchiesta fu infarcita di luoghi comuni, di pregiudizi e di stereotipi razziali”: “Misero ceto, orde di masnadieri, infame banda…”. La lotta al brigantaggio era “la peggior sorta di guerra che possa immaginarsi è la lotta tra la barbarie e la civiltà” ..
Le borghesie del Sud – intellettuali, della manomorta, degli affari – hanno svolto il ruolo che nelle società arretrate del Terzo mondo è stato teorizzato come “compradore”. Quelle del Sud non rispondono esattamente al termine, non si sono segnalate come sbocchi di esportazione. Ma sì nel ruolo di sicofanti: di facilitatori della conquista. Anche gratuiti. Cioè no, in realtà:erano – e sono - politici, ministeriali, appaltatori, profittatori di regime, corrotti passivi e attivi ai sensi del codice penale e non. Ma convinti, sempre nel giusto - deprecatori, a loro volta, della locale barbarie.
Fu un altro deputato meridionale, l’abruzzese Giuseppe Pica, a redigere la legge che porta il suo nome, in forza della quale quasi tutto il Sud continentale fu dichiarato a Ferragosto del 1863  “in stato di brigantaggio”. Con la sospensione di ogni garanzia di diritto: una ventina di giornali furono quotidianamente censurati e spesso sequestrati, ottantanove consigli comunali furono sciolti. Trentanove nei soli territori circoscritti della Terra d’Otranto e del Teramano. Che erano due delle cinque aree del Sud escluse dallo stato d’eccezione, insieme con Napoli, Bari e Reggio Calabria. 

Calabria
Non si trova l’origine del bergamotto, della pianta e della parola. L’agrume la cui essenza è necessaria per stabilizzare i profumi. Che si produce nella zona jonica che da Scilla contorna Reggio Calabria fino a Bova. Si fanno convegni, si finanziano studi, e niente. Ma non si capisce se è il bergamotto elusivo, oppure l’intelligenza.

Una teoria dice il bergamotto bergamasco. Un documento è stato trovato che dice la “lumia bergamotta”  “uno di que’ peri che, come vuole l’Aldovrando, erano stati trasportati per il resto d’Europa da Bergamo”. È stato trovato non da bergamaschi, gente pratica. Anche perché una petra difficilmente è configurabile come l’acerbissimo bergamotto.

Un’ipotesi alternativa lo vuole Beg Armudi, “pero del Signore” in turco. E perché? “Alcuni turchi vendettero un rametto di Beg Armud o Pero del Signore alla nobile famiglia dei Valentino di Reggio Calabria”, cui il canonico di famiglia Giuseppe Morisani attribuì l’acquisto illuminato e la diffusone della pianta. Al punto che in Turchia se ne perdette la memoria.

Il cedro ha avuto note proprietà cosmetiche, vantate da Ovidio. E fino, almeno a Boncompagno da Signa, che le vanta per accenno, come di cosa molto cognita, nella “Rota Veneris”, a fine Millecento.  Ora la coltura si riduce ogni anno, a Cetraro, e solo anzi in ragione della richiesta dei rabbini europei per usi rituali. L’idea che una cosa si possa (debba) vendere non è di questo mondo.
O forse non si vuole contraddire il detto: chi ha il pane non ha i denti.

Il “ritorno” è un genere molto praticato al Sud. Non tanto dagli emigrati transoceanici, più da quelli di Torino e Milano. E al Sud più che altrove è praticato in Calabria. I giornali locali sono pieni di lettere e testimonianze di ritorni. Tutti avvelenati. Tutti ricordano un mondo bellissimo e non hanno parole per vituperare il presente. Evidentemente, c’è una vena masochista nella psiche calabrese.

Nessuno ha ricordato Raf Vallone nel centenario della nascita l’altro mese. Grande animatore culturale, da molti carati, oltre che attore di personalità e successo, al cinema e in teatro, calciatore del Torino da giovane e critico cinematografico, responsabile della terza pagina dell’“Unità” di Torino da indipendente, non tesserato del Pci, e critico professo di Stalin. Un “santo”, quasi perfetto oltre che bello e acuto, ma nato inutilmente e cresciuto a Tropea.
Aldo Cazzullo del resto, nel suo omaggio a Torino negli anni del dopoguerra, “I ragazzi di via Po”, ne fa un grande personaggio ma non menziona nemmeno la sua nascita e l’emigrazione.

Non c’è legge. Non ci sono regolamenti urbani.  Ma se avete targa non locale e sforate di dieci minuti il permesso di parcheggio la multa vi arriverà a casa nell’arco di due giorni. L’efficienza può essere rapida.


L’intransigenza pure, che non si direbbe in terra di intimidazioni e grassazioni. La legge Merli fu applicata all’istante quarant’anni fa, sulle acque reflue. Carabinieri, Finanza e Pretori sanzionarono e chiusero i frantoi oleari a centinaia, perché inquinavano fossi e torrenti. Mentre si può vedere tuttora nei mari pregiati della Versilia l’inquinamento galleggiare in superficie, trasportato dai torrenti dove ognuno scarica quello che vuole. La giustizia sa essere terribile, in questi paesi senza giustizia.

Fu in Calabria che l’esercito borbonico si sciolse – in Sicilia si limitò a non combattere. Più di due terzi dell’organico in Calabria defezionarono. Molti per soldi e per promesse di carriera.

Il lavoro immigrato sottrae risorse? Dipende dall’entità delle rimesse all’estero: in quale proporzione il reddito guadagnato localmente vi è anche speso, oppure è invece tesaurizzato, e speso all’estero. Questo per la teoria economica, dei flussi delle partite correnti. Di fatto, per esempio in Calabria, il lavoro immigrato crea risorse e ricchezza. Una mentalità non razzista, portata naturalmente all’accoglienza, si è ritrovata nell’arco di una generazione nelle zone joniche degli sbarchi dalla Turchia isole di nuova prosperità, a Riace, Caulonia, Stignano, Badolato. 
Non l’eldorado, non ci sono scorciatoie. Ma Riace, che per primo dodici anni fa ha deciso di integrare gli immigrati, un paio di centinaia, ha visto i residenti crescere da 1.700 a 2.200. Una primavera demografica e una rifioritura delle attività artigianali e degli affari. 

leuzzi@antiit,.eu 

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